José Filomeno dos Santos, figlio dell’ex presidente angolano José Eduardo dos Santos (rimasto al potere dal 1979 al 2017), e Valter Filipe, il suo co-accusato ed ex governatore della banca centrale, sono a giudizio per corruzione. Secondo l’accusa, avrebbero collaborato per portare mezzo miliardo di dollari fuori dal Paese ai tempi in cui il rampollo della famiglia dos Santos era a capo del fondo sovrano angolano. Entrambi, però, si sono dichiarati non colpevoli.
Fino a due anni fa, José Filomeno, meglio noto come Zenu, era un intoccabile e il suo potere sembrava espandersi in ogni angolo dell’Angola. La sua imputazione viene quindi vista dall’opinione pubblica come una prova dell’impegno del governo di eliminare la corruzione che è fiorita durante il dominio del padre. A Luanda, la capitale del Paese, il suo processo è diventato un evento straordinario e seguitissimo. Un momento di rinascita di una nazione ricchissima di materie prime (prime fra tutte il petrolio e i diamanti), ma corrotta e impoverita.
Nel 2017, José Eduardo dos Santos si è dimesso e il suo successore, João Lourenço, dello stesso partito al governo, si è bruscamente ribellato al clan dos Santos promettendo riforme e un risanamento della vita politica.
In tutta l’Africa, i vecchi partiti di liberazione sono impegnati a cercare di reinventarsi espellendo i vecchi leader e giurando di modernizzarsi pur di rimanere al potere. Un caso simile a quello dell’Angola è quello dello Zimbabwe, dove l’attuale capo dello Stato, Emmerson Mnangagwa, dopo aver costretto all’uscita di scena l’ex presidente Robert Mugabe (con il quale aveva condiviso anni di potere), sta cercando di presentarsi con un’immagine nuova. Finora i risultati sono stati, nella migliore delle ipotesi, contrastanti.