di Tommaso Meo – foto di Tommy Trenchard/Panos Pictures
Viene chiamata “kush” e si sta diffondendo soprattutto in Sierra Leone, Guinea e Liberia, ma non si sa di preciso cosa contenga. Si conosce solo il suo effetto devastante che sta seminando morte e distruzione di giovani vite. E se arrivasse anche da noi?
I passi barcollanti, gli occhi socchiusi, la testa penzolante. Così si muovono, lenti e agonizzanti, gli zombie umani che si aggirano per i quartieri di Freetown, la capitale della Sierra Leone, dopo aver consumato una dose di kush, una nuova droga sintetica che, a partire da qui, negli ultimi anni, ha trovato terreno fertile anche in altri Paesi dell’Africa occidentale, come le confinanti Liberia e Guinea. La composizione di questa sostanza non è ancora conosciuta con precisione e varia notevolmente a seconda di chi la produce, tuttavia contiene quasi sempre alcuni ingredienti, tra cui cannabinoidi, Fentanyl e tramadolo – questi ultimi due, potenti analgesici – e formaldeide – una soluzione usata come disinfettante o conservante che può causare allucinazioni.
I consumatori di kush si radunano spesso a decine all’interno di abitazioni abbandonate e fumano avidamente questa sostanza dentro una sigaretta rollata, come una sorta di spinello che passa di mano in mano. Il basso costo, la facile reperibilità e i forti effetti narcotizzanti sono i principali fattori ad averne determinato la diffusione, soprattutto nelle aree urbane.

Droga misteriosa
Il governo della Sierra Leone non ha dati precisi sul numero di persone che attualmente fanno uso di questa droga, ma i funzionari sono preoccupati. Il kush è considerato dalle autorità locali una minaccia nazionale, ma la sua origine è avvolta nella stessa fitta nebbia che attanaglia le menti dei consumatori abituali. Secondo alcuni resoconti, sarebbe apparso per la prima volta in Africa circa sei anni fa, per prendere piede in modo consistente negli ultimi tre. Altri invece ne retrodatano l’arrivo quattro o cinque anni prima. Conosciuto anche come K2 o spice (spezia), il kush viene presumibilmente mescolato in loco da bande criminali, ma i suoi componenti hanno presumibilmente origini internazionali.
Si ritiene che il Fentanyl provenga da laboratori clandestini in Cina; il tramadolo sarebbe comunque fabbricato in Asia. Il mistero più grande riguarda invece le ossa umane macinate, che secondo diversi racconti sarebbero un altro degli ingredienti del kush. Ma perché dovrebbe essere tagliato con polvere di ossa? La risposta starebbe nello zolfo contenuto all’interno, che è lievemente psicoattivo e ne aumenterebbe la carica allucinogena. Un altro motivo potrebbe risiedere nelle tracce di droga rimaste nelle ossa stesse, se il defunto utilizzava Fentanyl o tramadolo. Entrambe le spiegazioni, tuttavia, lasciano più di un dubbio. I livelli di zolfo nelle ossa non sono elevati e fumarlo comporterebbe l’inalazione di anidride solforosa altamente tossica.
Qualsiasi contenuto di droghe nelle ossa sarebbe invece troppo esiguo per sortire effetti sui fumatori. Intanto, però, le autorità municipali di Freetown hanno deciso di schierare la polizia armata per proteggere i cimiteri di notte dopo una presunta ondata di profanazioni delle tombe. L’accesso ai cimiteri è vietato tutti i giorni dalle 19, così come qualsiasi attività al loro interno. Il consiglio comunale ha chiesto anche ai residenti che vivono in prossimità dei cimiteri di stare in allerta. E sono già sorti gruppi spontanei di cittadini con l’obiettivo di controllare i campisanti.

Cause ed effetti sociali
Se l’uso di ossa umane nel kush non è ancora stato provato, sono certe invece le cause e gli effetti sociali dell’uso di questa droga. Il kush viene assunto principalmente da giovani uomini, ma ne fanno uso anche le donne, e la spiegazione che si sente dare chi chiede perché lo fumino è quasi sempre la stessa: per evadere da una realtà fatta di povertà, disoccupazione e assenza di speranze. «Il kush ti porta in un altro mondo dove non sei te stesso», dice chi l’ha provato. Un «mad world», lo chiamano gli stessi tossicodipendenti, dove la testa diventa leggera e lo stress scompare, insieme alle preoccupazioni.
L’effetto del kush dura poco, mentre il prezzo da pagare è molto alto, anche socialmente.
La dose contenuta in una sigaretta costa l’equivalente di circa 20 centesimi di euro, ma di solito una persona dipendente ne fuma qualche decina al giorno, arrivando a spendere una somma considerevole in un Paese poverissimo come la Sierra Leone in cui il reddito medio pro capite è inferiore a 500 dollari l’anno. Il kush è fumato dappertutto a Freetown, ma risentono dei danni maggiori i quartieri e le comunità più povere. Per racimolare i soldi necessari a continuare a consumarlo in molti sono costretti a frugare nella spazzatura o nei fanghi di scarico nella speranza di trovare qualcosa da rivendere, mentre le donne finiscono molte volte per prostituirsi. Chi aveva un lavoro spesso lo perde, chi mandava i soldi alla propria famiglia lontano ora li spende solo per comprare una dose, alienandosi gli affetti più cari. In tanti vengono spinti ancora più ai margini, in un circolo vizioso da cui è difficile uscire.
Danni alla salute
Per non parlare dei danni alla salute. Chi fa uso di questa droga per lunghi periodi può ritrovarsi con i piedi ingrossati e piaghe sulle gambe, che spesso si infettano, oltre che con problemi al fegato, ai reni e alle vie respiratorie. L’astinenza provoca altri forti dolori alla testa e alle articolazioni. Il kush è un forte sedativo e distorce la percezione della realtà, esponendo i suoi consumatori anche al rischio di cadere e sbattere la testa o di essere investiti per strada. Ma anche di compiere atti di autolesionismo. Gli esperti di salute avvertono che l’assunzione di kush può portare ad azioni suicide e a danni cerebrali permanenti. Si stima che uccida circa una dozzina di persone per settimana e causi i ricoveri di altre decine in ospedale.
Il ministero della Salute sierraleonese calcola che le sue squadre raccolgono due o tre cadaveri al giorno di presunti morti per kush. Sono spesso corpi senza documenti e che raramente qualcuno viene a reclamare in tempi brevi. Anche a Monrovia, la capitale della Liberia, le cronache riferiscono di morti che giacciono in strada. I residenti si svegliano e trovano due o tre cadaveri stesi sul ciglio della strada: il sospetto è che sia stato il kush a ucciderli.

Le cure
In Sierra Leone la dipendenza da kush ha trovato impreparato il sistema sanitario nazionale, con pochi fondi, strutture e specialisti disponibili. Per ora, il Paese ha due soli istituti che si rivolgono ai tossicodipendenti. Uno, il centro di riabilitazione City of Rest, situato sulle colline sopra Freetown, è stato parzialmente danneggiato da un incendio e la sua retta è comunque troppo costosa per molti. L’altro è l’ospedale psichiatrico universitario di Freetown, l’unico del Paese. Qui nel 2020 sono state ricoverate 47 persone dipendenti da kush. Nel 2022 erano salite a 1.101 e oggi i numeri sono molto più grandi. Più della metà dei pazienti dell’ospedale sono tossicodipendenti. Nella struttura, che funge da centro di riabilitazione, la cura equivale a un trattamento di isolamento della durata compresa fra tre e sei settimane. Durante questo periodo ai pazienti vengono somministrati farmaci antipsicotici per aiutarli a liberarsi dalla dipendenza. Le persone in cura possono sottoporsi a psicoterapia e partecipare ad attività di socializzazione, ma la struttura dispone di pochi operatori per fornire terapie di follow-up, e le ricadute sono comuni.
L’ospedale è aiutato dall’organizzazione non profit statunitense Partners in Health, che ha creato una nuova hotline per la salute mentale. I consumatori di kush possono chiamarla per parlare con un consulente e farsi aiutare. E c’è anche chi cerca di fare prevenzione strada per strada, come Ibrahim Hassan Koroma, fondatore di una ong chiamata Mental Watch Advocacy Network, che mette in guardia le persone dai pericoli della droga andando in giro per i bassifondi della città insieme ad altri volontari.
Gli interventi
Tale impegno non è però finora bastato a frenare la diffusione del kush, anche perché la National Drug Law Enforcement Agency, responsabile delle politiche e delle indagini antidroga, dispone di personale inadeguato e di un budget limitato: 50.000 dollari l’anno. Un allarme è stato quindi lanciato nei mesi scorsi dalle colonne del Sierra Leone Telegraph. Il giornale ha paragonato «l’epidemia» di kush alle gravi crisi sanitarie del passato, come l’ebola e il covid-19. Secondo il quotidiano, occorre adottare misure decisive per affrontare le cause alla radice, come mettere in quarantena «spacciatori, produttori o importatori».
L’articolo auspicava «azioni concrete per fermare la devastazione causata dal kush, soprattutto tra i giovani». L’appello sembra aver trovato ascolto tra le fila del governo, che a febbraio ha creato una task force ministeriale. A inizio aprile 2024, poi, il presidente Julius Maada Bio ha dichiarato l’emergenza nazionale, presentando una strategia in cinque fasi per quello che ha definito «un futuro senza droga». Tra gli obiettivi, quello di creare tre nuove strutture di riabilitazione nell’area di Freetown e centri di assistenza in tutti i distretti del Paese per aiutare chi combatte la dipendenza. Nel frattempo la polizia è al lavoro per tracciare e smantellare il commercio della droga attraverso indagini e arresti di spacciatori con un’operazione su larga scala chiamata “Tolleranza Zero”.
Anche la Liberia è impegnata nel contrasto alla diffusione del kush. A gennaio, nel suo primo discorso alla nazione, il nuovo presidente Joseph Boakai ha subito decretato come «emergenza sanitaria nazionale» l’abuso di sostanze stupefacenti. «L’epidemia di droga, in particolare l’uso di kush, è inquietante. Sta distruggendo la gioventù e le future generazioni del nostro Paese», ha detto Boakai. Il presidente ha quindi investito il ministero della Sanità, l’agenzia antidroga e il ministero della Gioventù e dello Sport della responsabilità di lavorare in un team «multisettoriale» per affrontare congiuntamente questa «minaccia esistenziale». Secondo alcuni osservatori, la sconfitta del capo di Stato uscente, George Weah, alle ultime elezioni è dovuta proprio al suo presunto lassismo nella lotta alle droghe.
Questo articolo è uscito sul numero 5/2024 della rivista Africa. Clicca qui per acquistare una copia.