di Santatra Ramanantsoa
Viaggio a Soatanana, la “Città del Bene”, dove una comunità di fedeli cristiani vive seguendo i precetti della Bibbia, lontano dalle piaghe della modernità, dal consumismo e dalle gelosie.
Sugli altopiani centrali del Madagascar, non lontano da Fianarantsoa, capoluogo della regione di Haute Matsiatra, sorge la località di Soatanana, toponimo che tradotto significa la “Città del Bene”. Questa comunità rurale, immersa in un paesaggio di verdi colline e corsi d’acqua cristallini, è il fulcro del Fifohazana, un movimento religioso cristiano che da oltre un secolo plasma la spiritualità malgascia. In questo angolo remoto della grande isola dell’Oceano Indiano, per mano di “pastori bianchi”, così chiamati per le tuniche di candido lino che indossano come segno distintivo di purezza e dedizione, prende infatti vita una silenziosa rivoluzione spirituale.
Il movimento del Fifohazana, che in malgascio vuol dire “risveglio”, è radicato in una successione di moti di rinascita spirituale che ha animato il Madagascar tra la fine dell’Ottocento e il primo ventennio del Novecento sulla scorta di quegli stessi risvegli che periodicamente hanno attraversato la storia del mondo protestante. La sua origine è legata alla figura di Rainisoalambo, guaritore tradizionale convertito al cristianesimo da alcuni missionari norvegesi.
Il sogno di Rainisoalambo
Narra la storia che quando nella regione cominciarono a insediarsi i primi pastori europei – che indossavano abiti di fattura molto diversa da quelli a cui erano abituati gli abitanti della zona, che erano pagati per insegnare la nuova fede e non erano soggetti al lavoro manuale forzato –, Rainisoalambo, uomo ambizioso, cominciò a desiderare il loro modo di vivere, pensando che avrebbe potuto viever come loro se fosse diventato un pastore. Così studiò e nel 1884 fu battezzato, anche se nel frattempo non aveva abbandonato le pratiche pagane, nella speranza di diventare ricco.
Dopo un corso di istruzione biblica di sei mesi fu nominato catechista non retribuito nella locale parrocchia e pertanto, deluso, tornò al suo precedente lavoro di contadino e di guaritore/indovino. All’epoca, nei villaggi remoti come quello di Rainisoalambo il tenore di vita era molto basso, e quando una carestia e un’epidemia di vaiolo e malaria colpirono la regione uccidendo molti abitanti, gli incantesimi e la farmacopea non poterono guarire la povertà, la malnutrizione e le malattie. La famiglia di Rainisoalambo fu decimata e anch’egli si ammalò gravemente, con il corpo coperto di piaghe dolorose che gli rendevano impossibile lavorare.
Dal profondo della sua miseria e disperazione, Rainisoalambo invocò allora il Dio che aveva imparato a conoscere. Quella stessa notte, il 14 ottobre 1894, secondo la sua testimonianza, fece un sogno. Vide un uomo, completamente vestito di bianco e immerso nella luce, stargli accanto, ingiungendogli di buttare via i suoi amuleti e gli altri oggetti che usava per la divinazione. L’indomani all’alba eseguì l’ordine e immediatamente si sentì liberato dal dolore.
… e quelli guarivano
Secondo le sue parole, Gesù lo aveva sollevato dal profondo della fossa e liberato dalle sue catene pagane. Poiché sapeva leggere, ricominciò a studiare la Bibbia, ma con più attenzione, soprattutto il Nuovo Testamento. Conosceva già qualcosa della preghiera, dei riti ecclesiastici e della comunità cristiana: dopo aver dedicato molte settimane a meditare le Scritture, prese a diffondere il suo messaggio.
Si rivolse in primo luogo alla sua famiglia e agli amici, dato che molti di loro erano ammalati e praticavano la religione ancestrale. Il tema centrale della sua predicazione era che bisognava allontanarsi dall’idolatria e aggrapparsi a Gesù Cristo, che gli era apparso e gli aveva parlato. Disse che, se volevano essere guariti, avrebbero dovuto liberarsi dei loro feticci. In molti seguirono il consiglio e si videro guariti. Poi si recò nei villaggi vicini, visitando e pregando per coloro che erano così malati da non poter nemmeno pregare. Imponeva le mani ai malati, proclamando che Gesù era la fonte di ogni guarigione, e quelli guarivano.
Una comunità che si trasforma
La notizia delle guarigioni si diffuse rapidamente ed erano sempre più gli infermi e i loro familiari a cercare quell’uomo che predicava Gesù Cristo. I primi discepoli di Rainisoalambo si organizzarono allora per poter condurre una vita in comunità, pregavano insieme e assunsero una serie di impegni solenni: imparare a leggere e a contare, per saper leggere in autonomia la Bibbia orientandosi tra i capitoli e i versetti; tenere pulite le proprie case e cortili; avere una zona cucina separata in modo che la casa rimanesse abbastanza pulite per riunirvisi e onorare Dio; avere un orto da coltivare e così avere una fonte di cibo; e iniziare sempre tutto con una preghiera nel nome di Gesù.
Decisero inoltre che alle cerimonie funebri, che spesso costituivano una scusa per l’ubriachezza e dissolutezze pagane, si indossassero bei vestiti, e che ci sarebbero stati canti, preghiere ed esortazioni, ma nessuna macellazione del bestiame, per salvaguardare la famiglia in lutto affinché non si impoverisse proprio in tali occasioni. Predicavano il Vangelo, guarivano i malati e liberavano gli indemoniati. Per avere sempre la Bibbia con sé, crearono delle borse di cotone bianco da portare a tracolla.
Inizialmente la comunità si riuniva nel villaggio natale di Rainisoalambo, ad Ambatoreny, ma nel 1902, con il mutare del clima politico e il maggior controllo imposto dalle autorità coloniali francesi, il “centro del risveglio” fu trasferito a Soatanana, dov’è ancora oggi, per mettersi sotto l’egida della locale missione norvegese ed essere integrato nella loro parrocchia luterana.
Modello di indigenizzazione
Grazie a Rainisoalambo, la comunità di Soatanana si è trasformata nel centro di un risveglio spirituale e per questo viene anche chiamata “Nuova Gerusalemme”. Qui, i principi del Fifohazana vengono tuttora praticati quotidianamente: la preghiera collettiva inizia e conclude la giornata, e l’etica del lavoro si riflette nell’impegno nell’agricoltura, nell’allevamento e nelle attività artigianali, invocando un cambiamento radicale di vita, lontano dalle piaghe della modernità, dal consumo e dalla gelosia. A ogni straniero, vahaza in malgascio, che entra nel villaggio vengono lavati i piedi e tutta la vita della comunità, che conta oggi circa cinquemila membri, aspira ad aderire a una pratica inflessibile dei precetti della Bibbia.
I “pastori bianchi” di Soatanana incarnano la spiritualità che Rainisoalambo ha voluto trasmettere e puntano in questo modo a rappresentare un modello di vita cristiana attiva e autentica. La loro esistenza è dedicata al servizio, seguendo principi di amore e aiuto reciproco e invocando un cambiamento radicale di vita, lontano dalle piaghe della modernità, dal consumismo e dalle gelosie. E ogni anno, intorno a metà settembre, il paese si anima ancora di più, in occasione dei raduni annuali del movimento che attirano fedeli in pellegrinaggio da tutto il Madagascar, e rappresentano momenti di forte condivisione spirituale a cui prendono parte anche aderenti ad altri risvegli evangelici. Sono questi eventi, infatti, che non solo rafforzano la comunità del Fifohazana ma puntano anche a diffondere un messaggio di pace e riconciliazione, testimoniando l’impatto trasformativo della fede sulla vita quotidiana.
Oggi sono numerosi gli esempi di comunità cristiane indipendenti in molti Paesi dell’Africa, ma la Chiesa del Risveglio malgascia rappresenta per gli storici delle religioni un vero e proprio modello di quel processo di indigenizzazione che, grazie alla traduzione in un canone comprensibile e accettabile per la più ampia popolazione locale, ha consentito la propagazione della fede cristiana anche nelle aree più remote del continente.
Questo articolo è uscito sul numero 5/2024 della rivista Africa. Clicca qui per acquistare una copia.