di Oumar Barry – Centro studi AMIStaDeS APS
Mamadi Doumbouya, salito al potere nel 2021 con l’impegno di riportare la Guinea alla democrazia, ha invece consolidato un regime militare e autoritario. Le promesse di giustizia e le riforme sono svanite tra rinvii del governo civile, repressione dell’opposizione e arresti di giornalisti e attivisti. Il potere si mantiene grazie alla manipolazione del consenso e alla violenza, ma la speranza resiste nella determinazione del popolo guineano a lottare per la democrazia.
Scrivo dall’Italia, da cittadino guineano, con la crescente preoccupazione per l’evolversi della situazione nel mio Paese d’origine. Quando, nel settembre 2021, il generale Mamadi Doumbouya prese il potere, lo fece promettendo di mettere fine al regime autoritario, che per oltre un decennio aveva concentrato tutto nelle mani di Alpha Condé. Il colpo di stato di Doumbouya fu presentato come una rottura con il passato, e la a giunta militare ha chiesto una riforma globale dello Stato guineano, promettendo di affrontare la corruzione dilagante, riformare il sistema giudiziario e lavorare per il bene del popolo guineano. Il discorso iniziale di Doumbouya parlava di costruire una “nuova Guinea”, basata sull’equità, la giustizia e il rispetto dei diritti umani. Le speranze di una rinascita democratica erano palpabili.
Per molti, il colpo di Stato rappresentava una vera opportunità di cambiamento, una possibilità di liberarsi dal giogo di un regime che aveva deluso le aspettative di sviluppo e prosperità del Paese. L’idea di una riforma aveva suscitato entusiasmo, e molti avevano accolto con favore l’intervento dei militari, ritenendo questo l’unico modo per riportare il Paese sulla strada della giustizia sociale e del progresso. La promessa di un cambiamento profondo, in particolare la lotta alla corruzione e la riforma delle istituzioni, è stata vista come una boccata d’aria fresca dopo anni di incertezza politica e disuguaglianza.
Tuttavia, nel corso del tempo, le speranze si sono scontrate con la realtà di un governo che, pur rivendicando una missione di rinnovamento, ha finito per fare i conti con la stessa amministrazione autoritaria di cui voleva liberarsi. Sebbene Doumbouya e la giunta abbiano compiuto alcune mosse simboliche, come la creazione di una commissione di transizione e l’annuncio di una nuova costituzione, molti cittadini e osservatori internazionali cominciano a temere che le promesse di riforma siano solo un modo per consolidare il potere nelle mani di un altro gruppo dirigente militare, con poca o nessuna volontà di aprire la strada a una vera democrazia. La corruzione, purtroppo, sembra essere una piaga che non può essere estirpata e le accuse di abuso di potere contro i nuovi leader sono aumentate. Le forze di sicurezza, pur avendo promesso di essere al servizio del popolo, continuano a esercitare violenza sulle manifestazioni pacifiche e a limitare la libertà di stampa, impedendo ai media di svolgere il loro ruolo di monitoraggio del governo. La giustizia, che avrebbe dovuto essere il pilastro del nuovo sistema, sembra ancora lontana e molte delle riforme promesse sembrano non andare oltre le dichiarazioni pubbliche.

L’aspetto più preoccupante è che, a distanza di oltre tre anni, non solo non sono stati compiuti passi significativi verso una vera democrazia, ma l’instabilità politica e sociale sembra aumentare. Le speranze di una Guinea prospera e giusta stanno svanendo, mentre la popolazione, stanca e disillusa, continua a cercare risposte in un ambiente che sembra sempre più chiuso e privo di soluzioni efficaci.
Come cittadino guineano lontano dalla mia patria, la delusione cresce ogni giorno di più. È difficile rimanere passivi di fronte a una situazione che si trascina senza una reale volontà di cambiamento. Siamo tutti spettatori di un processo che, purtroppo, sembra ripetere gli stessi errori del passato. La giunta militare ha più volte rinviato la promessa di un ritorno al governo civile. Se inizialmente si parlava di elezioni presidenziali entro la fine del 2024, oggi si parla di elezioni presidenziali previste per la fine del 2025, allungando ulteriormente il periodo di transizione. Questo rinvio non solo dimostra un mancato rispetto degli impegni promessi, ma ha anche rivelato l’intenzione del Comitato per la Riconciliazione e lo Sviluppo (CNRD) di consolidare il proprio potere attraverso una forma di “transizione infinita”, in cui i militari continuano a governare con autoritarismo, sospendendo diritti civili fondamentali.
Non posso fare a meno di osservare e riflettere sull’evolversi degli eventi nel mio Paese. Nel corso del 2022 e del 2023, le promesse di giustizia e riconciliazione fatte dal CNRD sono lentamente svanite in un clima di crescente repressione. La libertà di espressione, una delle principali conquiste della Guinea negli ultimi decenni, ha iniziato a essere sistematicamente soppressa. I media indipendenti sono stati attaccati, con giornalisti e attivisti arrestati e intimiditi.
La giunta militare ha preso di mira soprattutto i giornalisti che osavano criticare il nuovo regime, come nel caso del giornalista Habib Marouane Camara, arrestato e scomparso il 3 dicembre 2024. Camara, noto per il suo lavoro come direttore del sito di notizie Le Révélateur224 , è stato fermato da uomini in uniforme mentre si recava a un appuntamento a Conakry. La sua scomparsa ha suscitato l’indignazione dei colleghi giornalisti e delle organizzazioni per i diritti umani, che hanno denunciato l’arresto come arbitrario e chiesto il suo immediato rilascio. Ancora oggi, nessuno ha aggiornamenti verificati.

Non si può dimenticare nemmeno il caso dei due attivisti Oumar Sylla, noto come Foniké Menguè, e Mamadou Billo Bah, entrambi membri del Front National pour la Défense de la Constitution (FNDC): Foniké Menguè è il coordinatore nazionale del FNDC, Billo Bah è il responsabile dell’antenna del FNDC. Il 9 luglio 2024, entrambi sono stati violentemente arrestati senza mandato dalle forze di sicurezza guineane.
Secondo Human Right Watch, i diritti umani sono minacciati in Guinea, denunciando una situazione di “eccessiva violazione dei diritti umani in vari aspetti della vita socio-politica, in particolare la repressione di tutte le voci contrarie alla CNRD” in un loro rapporto pubblicato a inizio dello scorso dicembre.
Un altro episodio che merita attenzione è quello di Aliou Bah, leader del partito di opposizione Mouvement Démocratique Libéral (MoDeL). Bah è stato arrestato e condannato a due anni di carcere per diffamazione e insulti al capo di Stato, Mamadi Doumbouya. Durante il processo, Bah ha dichiarato di essere un prigioniero politico e ha esortato i suoi sostenitori a continuare la lotta per la libertà e la giustizia. La sua condanna è stata vista come un tentativo di mettere a tacere una voce critica nei confronti del regime e ha scatenato le proteste dei suoi sostenitori.
Ho chiesto a M.S., cittadino guineano che vive a Conakry, dove è studente universitario presso l’Università Gamal Abdel Nasser, di dirci cosa pensa della condanna di Aliou Bah nel gennaio di quest’anno: “La condanna di Aliou Bah è senza dubbio un segnale preoccupante per la libertà di espressione in Guinea. Aliou Bah non è solo un critico, ma una figura che rappresenta un certo tipo di resistenza intellettuale contro l’ingiustizia politica. Il suo processo sembra purtroppo un tentativo delle autorità di intimidire non solo lui, ma anche chiunque osi sfidare apertamente il regime. Le proteste che ne sono seguite riflettono una crescente frustrazione dei cittadini, che vedono nella repressione un ostacolo al progresso della democrazia. In un contesto come quello della Guinea, dove la politica sembra spesso essere dominata dal controllo e dalla censura, qualsiasi condanna può avere un effetto negativo a lungo termine, sia a livello sociale che economico. La paura della libera espressione rischia di limitare il dibattito pubblico e di ostacolare la crescita di un Paese che ha bisogno di idee diverse per progredire”.
In questo contesto di crescente repressione, il CNRD ha attuato una vera e propria “caccia alle streghe” contro chiunque rappresenti una minaccia per il suo governo. Il numero di oppositori arrestati è aumentato nell’ultimo periodo e i dissidenti politici sono stati etichettati come traditori, con l’uso della forza come metodo principale per soffocare qualsiasi forma di resistenza. La figura di Doumbouya, inizialmente accolta come quella di un “salvatore” dalle masse guineane, si sta evolvendo in un esempio di un potere autocratico che alimenta sospetti e opportunismi. Sebbene inizialmente molti abbiano visto in lui una speranza di cambiamento, la sua leadership ha progressivamente rivelato tratti autoritari che minano le basi della democrazia e del consenso popolare.

Un esempio concreto di questa dinamica si può osservare a Kindia, dove i sostenitori della giunta hanno organizzato manifestazioni a sostegno di Doumbouya, nel tentativo di mobilitare la popolazione in vista delle elezioni presidenziali del 2025. Qui, numerosi cittadini hanno rivelato attraverso i social media guineani che le autorità locali hanno offerto loro incentivi finanziari per partecipare a questi eventi, e molti hanno affermato di aver ricevuto somme di denaro, direttamente o tramite intermediari, come compenso per la loro partecipazione agli eventi a sostegno della giunta. In questo contesto, il sostegno a Doumbouya sembra essere un’opportunità economica per alcuni, piuttosto che una genuina espressione di fiducia nella sua leadership.
L’episodio di Kindia non è isolato. In molte altre zone della Guinea si ripete la stessa dinamica: i cittadini sono attratti dalla promessa di un guadagno immediato, spesso sotto forma di denaro o altri benefici, senza una reale convinzione politica o ideologica. Questo solleva dubbi sulla legittimità delle manifestazioni di sostegno al governo, suggerendo che si tratti di eventi strumentalizzati piuttosto che di autentici momenti di partecipazione democratica. In questo modo, Doumbouya rischia di essere percepito non come il “salvatore” tanto celebrato all’inizio, ma come un altro leader autoritario che manipola il consenso popolare per consolidare il proprio potere.
L’entusiasmo manipolato da questi movimenti sembra emblematico della volontà del CNRD di pilotare la transizione a proprio favore, aumentando la probabilità di una futura elezione che vedrebbe Doumbouya come il principale contendente, se non il vincitore indiscusso. Un altro segno evidente di parzialità è rappresentato dalla legge che vieta le manifestazioni dell’opposizione, mentre promuove quelle a sostegno della giunta, limitando ulteriormente la libertà di espressione e la possibilità di un vero dibattito democratico.
Il destino della Guinea sotto il CNRD appare ancora incerto, ma ciò che è chiaro è che il Paese è adesso intrappolato in un ciclo di violenza, repressione e corruzione. Nonostante la retorica del cambiamento, il CNRD sembra seguire gli stessi errori che hanno caratterizzato le precedenti dittature guineane: controllo militare, violazione dei diritti civili e repressione delle voci dissidenti. L’unica differenza significativa è che, a differenza del passato, la giunta ora non deve fare i conti con una pressione diretta da parte dell’ex potenza coloniale, ma si trova di fronte a una comunità internazionale che osserva, senza una risposta chiara e determinata.
A mio parere, in un simile contesto, l’unica via d’uscita per il popolo guineano è l’unità. Le voci dissenzienti devono unirsi contro l’oppressione e resistere alla volontà di un regime che minaccia di soffocare ogni possibilità di cambiamento positivo. Come sottolineava Victor Hugo, la stampa è uno strumento di resistenza contro l’oppressione e oggi più che mai è necessario che i media e la società civile siano uniti nella lotta per la giustizia, la democrazia e la libertà. Solo così la Guinea avrà la possibilità di costruire un futuro migliore, lontano dalla brutale repressione che caratterizza l’attuale regime del CNRD.