Ad una settimana dalla fine ad Addis Abeba del summit dell’Unione Africana si può fare il punto, a freddo, su questo organismo che è una sorta di replica, a livello istituzionale e politico, dell’Unione Europea. Il summit ha nominato il presidente della Commissione che è risultato, a sorpresa, il ministro degli esteri del Ciad Moussa Faki Mahamat. Ha nominato anche il suo presidente, Alpha Condè, attuale capo di stato della Guinea Conakry. Ha reintegrato nel suo seno il Marocco che si era auto escluso dopo che nel 1984, l’allora OUA, Organizzazione per l’Unità Africana, aveva riconosciuto la Repubblica Araba Saharawi Democratica il cui territorio era stato invaso dal Marocco.
Il reintegro del Marocco è stata forse la questione politica più importante che il summit ha affrontato. Al reintegro si opponeva l’Algeria che ospita sul suo territorio circa centomila profughi saharawi. Al di là del merito della questione però una Unione senza il Marocco oggi era anacronistica. Il paese di Re Mohamed VI oggi è un grande investitore nel continente quasi al livello delle economie emergenti asiatiche, ha un ruolo diplomatico importante e coltiva una serie di relazioni bilaterali con i principali paesi africani. Impossibile tenerlo fuori ancora. Con grande pragmatismo infatti è stato reintegrato.
Un’altra questione politica è stata, con altrettanto pragmatismo, omessa dal dibattito. O meglio rimossa. Si tratta di ciò che è avvenuto in Gambia con l’uscita di scena del dittatore Yaya Jammeh che, con un intervento militare delle forze dell’organizzazione politica e militare regionale dell’Africa Occidentale, l’Ecowas, è stato costretto a lasciare il paese.
Un braccio di ferro che è stato messo in atto e vinto con il silenzio dell’Unione Africana che è composta, in buona parte, da paesi governati da presidenti che non avrebbero nulla da invidiare a Yaya Jammeh e che, di conseguenza, hanno evitato di mettersi nelle condizione di condannare e perseguire uno come loro. Chissà mai…un giorno potrebbero trovarsi nelle stesse condizioni e avere bisogno di un silenzio complice dei paesi africani.
Per le stesse ragioni l’Unione Africana si sta preparando ad uscire, con un voto a maggioranza, dalla Corte Penale Internazionale. Chissà mai che qualche presidente-eterno finisse inquisito…
(Raffaele Masto – Buongiorno Africa)