Sirte è stata liberata. L’Isis è stata cacciata. Ma i problemi non sono finiti. La pace non tornerà presto in Libia.
Ma andiamo con ordine. La città, roccaforte dei fedelissimi di al Baghdadi è caduta di fronte all’offensiva delle milizie di Misurata. La battaglia è stata sanguinosa, Dal 12 maggio, quando è scattata l’offensiva, si sono registrate oltre 4mila vittime, tra morti e feriti, solo tra le fila dei miliziani misuratini. Di questi, 713 sono morti e 3.210 sono rimasti feriti. Anche dopo l’annuncio della liberazione, dato due giorni fa, sono continuati scontri sporadici nella città. Il rischio è che questi focolai di resistenza coprano la ritirata verso Sud del grosso delle milizie dell’Isis. Nel deserto libico si è già stabilito da tempo il nuovo comando logistico e organizzativo di al-Qaeda nel Maghreb Islamico (Aqmi) e si teme possa creare proprie basi anche lo Stato islamico.
La liberazione di Sirte non risolve neanche i problemi politici. In Libia non esiste ancora un’autorità politica che governi su tutto il Paese. A Tripoli e nella Tripolitania governa Fayez al Serraj. Il suo esecutivo si era insediato grazie al sostegno internazionale e, in particolare, di Barack Obama, Presidente degli Stati Uniti, e di Matteo Renzi, Premier italiano. Alleati che ora sono usciti di scena indebolendone la figura. Anche perché il neo Presidente Usa Donald Trump ha annunciato di voler rafforzare l’alleanza con la Russia e il suo sistema di alleanze regionali. In Libia ciò potrebbe comportare un rafforzamento della posizione del generale Khalifa Haftar, l’uomo forte di Bengasi, molto più vicino a Mosca di quanto non lo sia Serraj.
La partita quindi non è ancora conclusa. Il rischio è che ora a confrontarsi i governi di Cirenaica e Tripolitania in una guerra civile senza quartiere. E l’Isis potrebbe, battuto, ma non sconfitto, potrebbe diventare il terzo incomodo.