di Céline Camoin
“Il riciclaggio criminale delle risorse naturali della Repubblica Democratica del Congo portate fuori dal Paese rafforza i gruppi armati, perpetua lo sfruttamento delle popolazioni civili, alcune delle quali sono ridotte in schiavitù di fatto, e mina gli sforzi per ripristinare la pace”: non è una novità, ma è sempre utile ricordarlo, ed è quello che ha fatto in Assemblea generale dell’Onu la rappresentante speciale del segretario generale dell’Onu e responsabile della Monusco, Bintou Keita.
La diplomatica guineana ha ricordato che in Congo la pace è ancora lontana, poiché persistono gli scontri armati, violenze di genere e il traffico di minerali. Ha chiesto che vengano imposte sanzioni internazionali a coloro che traggono profitto da questo commercio illegale.
Nell’Ituri, mentre i profitti aumentavano con l’espansione dell’estrazione dell’oro semi-meccanizzata, i gruppi armati diventavano imprenditori militarizzati, ha lamentato. Di conseguenza, conclude Bintou, “i leader delle comunità e le stremate forze governative stanno lottando per contenere i gruppi armati, che si sono rafforzati sia militarmente che finanziariamente”.
Nel Nord Kivu, l’M23 ha stabilito il pieno controllo sulla produzione di coltan nei territori di Masisi e Rutshuru, e il commercio nella regione di Rubaya, che dovrebbe fornire oltre il 15% della produzione mondiale di tantalio, genera circa 300.000 dollari al mese per il gruppo armato.
Bintou Keita ha aggiunto che la neutralizzazione della milizia Adf nel Nord Kivu e nell’Ituri, dopo il numero record di 272 civili uccisi da questo gruppo armato lo scorso giugno, rimane una priorità della missione di pace delle Nazioni Unite.
Non mancano le altre sfide: i 2,4 milioni di sfollati, molti dei quali in aree sovraffollate, sono particolarmente vulnerabili alle malattie. E la Rdc, che conta la maggior parte dei casi di contagi da Mpox (altrimenti noto come vaiolo delle scimmie) in Africa, rappresenta l’epicentro di un’epidemia che colpisce già 15 Paesi del continente. Bintou Keita ha inoltre deplorato l’aumento delle tensioni politiche e la preoccupazione dei partiti di opposizione di fronte alle restrizioni alle libertà, ricordando al governo che il perseguimento delle riforme, il rafforzamento della fiducia e della coesione nazionale costituiscono antidoti agli appelli alla ribellione armata.
Dal discorso della numero uno della Monusco spicca un quadro così buio, che viene spontaneo chiedersi come mai tutto ciò sia possibile, nonostante la presenza della folta (12.000 elementi) e costosa (un miliardo di dollari l’anno) missione dei caschi blu dal 1999. Presenti tra l’altro nel nord est del Paese, epicentro del traffico dei minerali di cui parla proprio Bintou, i caschi blu a quanto pare non hanno il potere, la capacità, (o la reale volontà?) di bloccare le reti di contrabbando e sfruttamento illegale. Il controverso bilancio della missione Onu ha spinto il governo congolese a chiederne la partenza, ed è in parte stata avviata, con il ritiro dal Sud-Kivu.
Thierry Vircoulon, ricercatore sull’Africa presso l’Istituto francese delle relazioni internazionali (Ifri), definiva la missione Onu “passiva e inattiva”, in un podcast di Radio France alcuni mesi fa. “L’inazione delle forze di pace nella Rdc tradisce la loro incapacità di stabilizzare un conflitto e la loro impotenza a garantire la pace. Nel 2012, quando l’M23 conquistò Goma, l’umiliazione fu così grande che potenze regionali come Sudafrica, Malawi e Tanzania si unirono all’Onu per riconquistare la città”. Oggi, l’M23 è tornato più forte che mai e il conflitto è riacceso nella sua veste più agguerrita.