di Pierre Yambuya – foto di Daniel Beloumou Olomo / Afp
Con un nuovo museo e un grande festival culturale il Camerun celebra i fasti del regno Bamoun, sorto nel 1384, i cui sovrani non hanno mai smesso di esercitare potere e influenza. L’oppressione coloniale e l’affermarsi della repubblica non hanno scalfito il prestigio della monarchia. I re sono sempre chiamati a dirimere controversie e le crisi tra comunità e governo centrale.
I confini dei regni che costellavano l’Africa precoloniale sono scomparsi dalle mappe, cancellati dall’arroganza e dalla prepotenza europea, ma, ancorché invisibili agli occhi dei bianchi, sono tuttora ben presenti e convivono con le frontiere degli Stati moderni. I leader africani sanno bene quanto ancor oggi quei regni, e rispettivi sovrani, rivestano un’enorme importanza, non solo simbolica ma anche politica, culturale, identitaria. Per questo i governanti non commettono mai l’errore di ignorarli.
L’ultima conferma viene dal Camerun, dove il presidente Paul Biya, 92 anni, uno dei più longevi capi di stato al mondo, presidente dal 1982 (dal 1975 era primo ministro), ha dovuto negoziare coi sovrani dei regni precoloniali per tentare di contenere l’insurrezione dei gruppi indipendentisti dell’Ambazonia, la regione occidentale e anglofona del Paese. Ora che le forze armate hanno ripeso gran parte del controllo del territorio secessionista, il “monarca di Yaoundé” – come viene spesso indicato Biya – ha voluto mandare un messaggio di amicizia e di riconoscenza (per la fedeltà mostrata) a Sua Maestà Mouhammad-Nabil Mforifoum Mbombo Njoya, trent’anni, della dinastia dell’antico regno di Bamoun, che si estendeva – e, per i suoi sudditi, ancora si estende – nel Camerun occidentale.
Lo scorso aprile, a Foumban, la storica capitale, è stato inaugurato in pompa magna il Museo dei Re Bamoun, che celebra i monarchi che si sono avvicendati al trono. Alla cerimonia erano presenti oltre duemila invitati, le massime autorità del Paese, ministri e diplomatici, dignitari avvolti in boubou colorati e con il fez, esponenti di spicco dell’aristocrazia locale. Al gran completo la famiglia reale, che da sei secoli si tramanda lo scettro, e principi e principesse attorniati da stuoli di cortigiani. I griot, menestrelli-cantastorie, suonavano tamburi e lunghi flauti, mentre i fucilieri sparavano colpi per scandire l’arrivo degli ospiti illustri. Tanto sfarzo dimostra quale sia la rilevanza di questa istituzione monarchica, che, pur non avendo mai nascosto la sua indole autonomista, ha preso le distanze dall’insurrezione armata (da qui l’apprezzamento presidenziale).

Quello di Bamoun, fondato nel 1384, è uno dei più antichi regni dell’Africa subsahariana. Ha avuto una storia travagliata, costellata di invasioni e di guerre, talvolta conclusesi con cocenti sconfitte militari, ma non ha smarrito il suo spirito indomito ed è stato capace di conservare una sua autenticità, fatta di costumi e di tradizioni originali, malgrado le pressioni di missionari e amministratori coloniali. Ancor oggi il sovrano dirime le controversie locali, interviene nei dissidi tra villaggi, assolve al ruolo di mediatore in caso di crisi tra comunità e governo centrale.
Orgoglio ritrovato
«Oggi celebriamo con orgoglio la nostra storia secolare, augurandoci che possa essere per noi tutti fonte di ispirazione per un futuro di prosperità», ha dichiarato Mouhammad-Nabil in occasione dell’apertura del museo. «Questo luogo dimostra quanto l’Africa non sia importatrice di pensieri, non subisca passivamente gli eventi della storia, ma sia stata capace, e lo sia tuttora, di produrre una propria cultura, ricca ed elaborata, che purtroppo spesso viene negata o ignorata».
Il governo camerunese non ha badato a spese per celebrare la magnificenza di questo regno e le abilità militari e politiche dei suoi sovrani più illustri (con cui dovettero scendere a patti gli islamici e i colonizzatori tedeschi): dall’audace Mbuembue, sostenitore di una grande espansione territoriale, all’illuminato Njoya, propugnatore della modernizzazione della società Mbum, ideatore della scrittura della lingua bamoun. L’edificio del museo è sormontato da un enorme ragno nero, mentre all’ingresso svetta un serpente a due teste, Ngnwe peh tu, due simboli della stirpe reale dei Tikar.

Le sale espongono 12.500 pezzi tra armi, pipe, strumenti musicali, oggetti e tesori del palazzo reale. L’apertura del museo è avvenuta pochi mesi dopo un importante riconoscimento: l’inserimento da parte dell’Unesco del Festival Nguon – grande manifestazione che celebra ogni anno la cultura del popolo bamoun – nella Lista del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità.
Il declino del regno Bamoun iniziò nel 1918, quando i possedimenti coloniali tedeschi, Kamerun incluso, furono divisi tra Gran Bretagna e Francia. Il Bamoun ricadde così sotto il dominio di Parigi. I francesi si erano sbarazzati da tempo, e con fiumi di sangue, della loro monarchia e non erano certo disposti ad accettarne altre. Nel 1924 Njoya fu deposto e la sua scrittura bandita. Le autorità coloniali espropriarono i terreni della famiglia reale e misero la parola fine al regno. Cent’anni dopo, la corona Bamoun ha avuto la sua rivincita.
Questo articolo è uscito sul numero 5/2024 della rivista Africa. Clicca qui per acquistare una copia.