di Andrea Spinelli Barrile
La giunta militare del Mali sta sfollando grandi popolazioni e sterminando le minoranze etniche Fula, Tamasheq (Tuareg) e Moura nella parte settentrionale del Paese. Lo scrivono Mohamed Issouf Ag Mohamed e Mariana Bracks Fonseca per Africa is a Country.
Nel lungo pezzo, ricco di particolari e documentazione incontrovertibile, i due giornalisti sostengono che la lotta al terrorismo venga utilizzata come pretesto per liberare grandi aree del Paese, una persecuzione che era già realtà sotto il governo di Ibrahim Aboubakar Keita, poi detronizzato dalla giunta militare: il crescente isolamento internazionale della giunta militare al potere e il coinvolgimento del gruppo mercenario russo Wagner hanno accelerato tali persecuzioni, spesso attuate per garantire ai Wagner accesso alle risorse naturali.
L’esercito che controlla il potere in Mali sta approfittando della situazione in Medio Oriente per sterminare con discrezione le minoranze etniche, usando la lotta al terrorismo come giustificazione: nel settembre 2023, la giunta militare ha deciso di lanciare operazioni militari su ampia scala, guidate da uomini della milizia russa Wagner, che utilizzano droni turchi della società BAYRAK, ad alto potenziale distruttivo, prendendo di mira coloro che vengono considerati sommariamente e genericamente “terroristi”. Miliziani, ex-rappresentanti dei gruppi armati ma anche centinaia di civili. Le operazioni militari di pulizia etnica, e la propaganda dell’esercito che minimizza e discrimina invitando alla violenza contro “tutti i civili che indossano turbanti o altri indumenti tipici delle popolazioni nomadi”, non risparmiano anziani, donne e bambini.
Le accuse si rincorrono dal 2022, quando i Wagner furono accusati di massacri e violazioni dei diritti umani sia da parte dei caschi blu della Minusma che da parte di diverse associazioni e gruppi civici locali, come le associazioni Kisal e Tabital Pulaaku di Mopti (entrambe lavorano per difendere la comunità Fula in Mali e nel mondo) e Imuhagh International e Kal Akal (che difende i diritti del popolo Kel Tamasheq). Oltre ai report prodotti da queste organizzazioni ci sono le testimonianze oculari che, spesso, emergono sulla stampa e sui social e secondo cui le Fama (le Forze armate del Mali) e i Wagner dominano “con il terrore” le aree che riconquistano: distruggono i cambi nomadi, avvelenano i pozzi d’acqua, violentano le donne e saccheggiano le case delle comunità locali. Secondo Kal Akal tali violenze comprendono “esecuzioni sommarie, massacri, sparizioni forzate, detenzioni arbitrarie, atti di tortura, distruzione di fonti d’acqua e cibo per la popolazione, distruzione deliberata di infrastrutture pubbliche e private, saccheggi e depredazioni di proprietà e installazione di esplosivi sui corpi di civili già morti per colpire più persone”. Tuareg, arabi e Fula sono i più colpiti da queste violenze, vuoi perché identificati nei gruppi indipendentisti del nord (in particolare i Touareg), vuoi percéh identificati nei gruppi jihadisti (in particolare gli arabi).
Sempre Kal Akal, in un recente report, ha documentato saccheggi a Kidal, Tadoumoumt, Larnab, Tarkint, Anafif, Ber, Aguelhoc, Ghali Loumo e Lougui, la distruzione di infrastrutture nei comuni di Aïn Rahma, Eritedjeft, Tarkint, Tehardjé, Aglal, Tessalit e Larnab a scapito di centri sanitari, torri idriche, moschee e case, stupri nelle città di Léré, Kidal, Ber e Anafif, due incendi boschivi nella regione di Kidal, almeno due fosse comuni con decine di corpi nelle regioni di Timbuktu e Kidal e 40 arresti arbitrari, tra cui due membri della squadra del Comitato internazionale della Croce rossa nella regione di Kidal.
A gennaio Tabital Pulaaku, l’associazione internazionale per la difesa dei diritti dei Fula, ha denunciato il massacro di una dozzina di giovani pastori Fula uccisi da uomini del gruppo Wagner a Ndoupa, nella regione centrale del Mali. A queste violenze si sommano i numerosi rapimenti e sparizioni forzate, con diverse persone di etnia Fula sparite anche un anno fa e mai più tornate a casa, con famiglie e amici gettati nello sconforto. Da. settembre scorso migliaia di civili, principalmente residenti nelle zone rurali del Mali, sono stati costretti a fuggire a piedi per oltre 300 chilometri e attraversare i confini con la Mauritania e l’Algeria, dove già risiedono almeno un milione di rifugiati di origine maliana.
Ma non è tutta farina del sacco maliano o russo. C’è anche il ruolo della Turchia, un ruolo di primo piano perché Ankara fornisce con i suoi droni le Forze armate maliane. La Turchia, autoproclamatasi difensore dell’Islam e dei musulmani, è uno attore attivo nelle operazioni di pulizia etnica nella più grande area islamizzata del continente africano, che è anche la più grande area di conflitto del mondo: il Sahel. Oltre il 70% dello spazio chiamato “Alleanza degli Stati del Sahel (Aes)”, un patto militare creato nel settembre 2023 dalle giunte che governano Niger, Mali e Burkina Faso, appartiene alle comunità Fula, Tamasheq (Tuareg) e Moura, popolazioni un tempo vittime della creazione dei confini coloniali che non rispettavano le identità etniche, e ora decimati arbitrariamente per l’accesso alle risorse naturali. Una lotta per la sopravvivenza che non ha mai fine.