Per la sesta volta dall’indipendenza dal Sudafrica del 1990, i cittadini della Namibia sono chiamati alle urne oggi per rinnovare il parlamento e scegliere il presidente. Nel secondo Paese con la più bassa densità del mondo (al primo posto c’è la Mongolia), sono 1,3 milioni gli elettori con diritto di voto in una situazione economica non semplice, con la crescita che si è arrestata nell’ultimo trimestre del 2016 e che non è più riuscita a ripartire. Diciamolo fin da ora: con ogni probabilità il partito che (ri)vincerà le elezioni sarà quello che governa ininterrottamente dal 1990, ovvero il South West People’s Organisation (Swapo), diretto discendente del principale movimento indipendentista della Namibia.
La storia
Dopo la cacciata dei tedeschi in seguito alla Prima Guerra Mondiale, la Namibia è passata sotto il controllo inglese e divenne sostanzialmente un tutt’uno con il Sudafrica. Questo Stato ha vissuto per molti decenni un sistema di apartheid di gran lunga meno conosciuto rispetto a quello del Sudafrica, ma altrettanto doloroso per le diverse etnie autoctone, che uscirono dal sistema di segregazione e di discriminazione solo nel 1990, quando, grazie all’azione congiunta di Nelson Mandela e del presidente sudafricano di allora Frederik de Klerk, venne abolito questo sistema.
Non è una caso che il primo presidente democraticamente eletto a suffragio universale, Sam Nujoma, abbia giurato in una cerimonia alla quale partecipò lo stesso Mandela che era stato rilasciato dalla prigione appena un mese prima ed era diventato il simbolo di libertà e di uguaglianza anche per la Namibia.
A differenza di altri Paesi vicini come lo Zimbabwe, il Mozambico o lo stesso Sudafrica, in cui i partiti egemoni stanno vivendo una parziale crisi dei consensi, in Namibia lo Swapo ha raggiunto alle scorse elezioni del 2014 percentuali che hanno superato l’85% dei consensi, guadagnando 77 seggi su 96 nell’Assemblea Nazionale e lasciando solo le briciole ai partiti di opposizione.
Quest’anno gli osservatori sono d’accordo nel dire che queste percentuali probabilmente non si ripeteranno, a causa sia della crisi economica che ha raddoppiato il rapporto debito-Pil (passato dal 23% del 2014 al 49% del 2019), sia della grave siccità che ha colpito il Paese lasciando 700 mila persone con necessità di aiuti alimentari e costringendo il presidente Hage Geingob e la primo ministro Saara Kuugongelwa a dichiarare lo stato di emergenza.
Una vittoria annunciata
E proprio Hage Geingob si è candidato per vincere un secondo mandato da presidente. Se fino a poco tempo fa il motto principale delle battaglie per l’indipendenza era «La Swapo è la nazione, la nazione è la Swapo», con un sostanziale e inevitabile sovrapposizione tra il sistema statale e quello del movimento-partito, oggi le cose stanno lentamente cambiando. In un Paese in cui la media dell’età è molto bassa, i giovani nati dopo l’indipendenza, sempre più determinanti per l’esito del voto, non hanno più nelle loro corde questa sovrapposizione, e tendono a votare anche per altri partiti.
Come abbiamo detto l’esito delle elezioni è praticamente scontato, ma sarà interessante soprattutto vedere se i voti al presidente saranno meno dei voti che la Swapo prenderà in parlamento: ciò dimostrerà che il presidente uscente Geingob non è del tutto riuscito a mantenere le promesse nel suo primo mandato.
Il problema principale, strettamente legato alla crisi economica, è l’alto tasso di disoccupazione giovanile: si calcola che il tasso di disoccupati sia vicino al 50% per gli under 35 e secondo un sondaggio di Afrobarometer il 54% delle persone pensano che il primo problema del Paese sia proprio l’occupazione (segue la siccità, 30%, e la lotta alla povertà, 21%).
Cosa tenere d’occhio
La sfida più o meno esplicita di tutte le opposizione è quella di strappare allo Swapo la maggioranza dei due terzi che permetterebbe di cambiare a maggioranza la costituzione. E oltre al consenso personale del presidente uscente, ci sono un paio di movimenti e partiti interessanti da osservare.
Il primo è il Movimento dei senza terra (Landless People’s Movement) che punta a ottenere una ventina di seggi in parlamento. È forte soprattutto nelle aree del centro-sud e, come spesso accade, è profondamente legato a questioni etniche più che territoriali. La sfida sarà quella di erodere il più possibile il consenso dello Swapo e capitalizzare il malcontento.
C’è interesse anche intorno al candidato Panduleni Itula, già primario di odontoiatria in un ospedale della capitale (del quartiere di Katutura, in lingua otijeherero “il posto dove nessuno vuole vivere”), che ha ricevuto l’endorsement del partito dei Combattenti per la Libertà Economica (Namibian Economic Freedom Fighters – Neff) e del Partito Repubblicano.
(Giovanni Pigatto)