Ghana o Gambia? Quale dei due Paesi – in entrambi si è votato per il capo dello Stato ai primi di dicembre – è il vero termometro del trend democratico in Africa?
In Ghana è stata realizzata una campagna elettorale civile, conclusasi con la conferma di un ormai oliato meccanismo di alternanza; il Gambia è invece stato teatro di una tragica farsa: il dittatore, sorprendentemente sconfitto alle urne, sulle prime ha accettato il responso popolare, per satanicamente rimangiarselo qualche giorno dopo. Con l’effetto di far venire allo scoperto tutti i volti dei suoi oppositori, ormai esultanti per l’insperata svolta. «Per anni si sono susseguite sparizioni, uccisioni, incarcerazioni senza processo, persecuzioni di minoranze», ha dichiarato a Vatican Insider anche il portavoce dell’unica diocesi cattolica gambiana. «Jammeh si sentiva il padrone assoluto del Paese e ha introdotto misure drammaticamente antidemocratiche». Comprendiamo meglio perché il piccolo Gambia sia il terzo Paese di provenienza dei richiedenti asilo in Italia, dietro ai giganti Pakistan e Nigeria (per rinfrescarsi la memoria, ci si può andare a rileggere il reportage di Giovanni Porzio sullo scorso numero di Africa).
Come andrà davvero a finire non è dato sapere, nel momento in cui scrivo, mentre sono in corso manovre diplomatiche nella regione. In ogni caso il tiranno di Banjul avrà gettato ulteriore fango, non tanto su di sé quanto sull’immagine di un continente che certo non ne aveva bisogno. Eppure non vogliamo rassegnarci a regalare tutta la scena ai killer africani della democrazia. In positivo c’è il Ghana, per l’appunto. E altre nazioni che neppure arrivano a fare notizia. Semplicemente hanno già imboccato una strada che rende “normale” l’avvicendamento di capi di Stato e governi.
Dal Botswana alla Tanzania, dove John Magufuli ha annullato le dispendiose celebrazioni per la festa dell’indipendenza sostituendole con una giornata di pulizia delle strade, e impugnando personalmente la ramazza. Dal Madagascar alla Nigeria (caso particolarmente delicato e importante), dalla Liberia alla Sierra Leone, uscite da laceranti guerre civili, fino alla Namibia – Paese, quest’ultimo, dove nel 2015 è arrivato il prestigioso e “raro” Premio Mo Ibrahim per il buon governo: per la prima volta assegnato a un capo di Stato, uscente ma ancora in carica, Hifikepunye Pohamba. Curioso il caso senegalese, che ha visto Macky Sall proporre l’autoriduzione della durata del mandato presidenziale (il Consiglio costituzionale gli ha poi negato questa possibilità).
Questo, mentre le patrie delle democrazie occidentali ormai si avvitano su sé stesse proprio in occasione delle grandi tornate elettorali. Dagli Usa, dove un candidato ha denunciato preventivamente i brogli (di cui s’è dimenticato subito, una volta che ha vinto), alla Gran Bretagna e, perché no, all’Italia: Paesi in cui elettori e leader confondono le urne di un referendum con quelle di un voto politico. È importante continuare a levare la voce contro i despoti e i dinosauri del potere africani (sono ancora troppi). La nostra rivista continuerà a farlo. Ma che nessuno presuma di farlo da una predella di superiorità. In democrazia siamo tutti scolaretti.