di Céline Camoin
Mentre infuria la violenza nel nord-est est della Repubblica Democratica del Congo, i regimi di Kinshasa e Kigali conducono una guerra dell’informazione, nella quale il Ruanda può contare sul suo esercito digitale sui social network, e la Rdc su alcuni influencer. Le storie contraddittorie che circondano il conflitto congolese, sfruttate dai demagoghi, non mancano. Queste narrazioni, spesso viste come propaganda o cospirazioni diffuse da esterni, influenzano il processo decisionale e la violenza sul campo.
A fare un punto su questo aspetto della crisi sono due esperti della regione dei grandi laghi africani e del conflitto in Repubblica Democratica del Congo, Jason Stearns e Archie Macintosh, in un articolo pubblicato dal sito AfriqueXXI. Ne riportiamo, traducendoli, ampi stralci utili a una migliore comprensione della situazione attuale.
Il conflitto di cui stiamo parlando è complesso. Per molti occidentali è anche “troppo africano”, troppo periferico rispetto agli interessi delle superpotenze. Ciò porta ad alcune statistiche che fanno riflettere: nell’ultimo anno, il quotidiano americano The New York Times ha pubblicato 53 articoli sul Congo, rispetto ai 3.278 sull’Ucraina. Il conflitto in questo Paese dell’Africa centrale non è stato oggetto neanche di un solo approfondimento sul canale televisivo americano Fox News.
Da parte congolese, una scorciatoia popolare è incolpare il Ruanda per le violenze nell’est. Come ha recentemente dichiarato il presidente Felix Tshisekedi: “Una cosa è responsabile di questa situazione: è l’aggressione ruandese”. Durante la campagna elettorale del 2023, al termine della quale fu rieletto, si lanciò in una diatriba pubblica: “Voglio rivolgermi al presidente ruandese Paul Kagame, per dirgli questo: poiché voleva comportarsi come Adolf Hitler con mire espansionistiche, gli prometto che farà la fine di Hitler”.
Iperboli simili si possono trovare oltre confine in Ruanda. Il presidente Paul Kagame accusa il suo omologo di diffondere l’ideologia del genocidio del 1994 contro i tutsi e sostiene che l’M23, un gruppo armato composto principalmente da tutsi congolesi, sta semplicemente combattendo per proteggere la comunità. Sebbene Kagame abbia negato di sostenere l’M23 (cosa che confermano diverse indagini delle Nazioni Unite), ha anche chiarito che non aveva bisogno di nessuno che gli desse il permesso di inviare truppe oltre il confine per proteggere i suoi concittadini da ribelli che diffondono l’ideologia del genocidio.
È facile trovare difetti in entrambe queste narrazioni, sostengono i due analisti. Kagame non può essere ritenuto responsabile di tutti i conflitti che si sovrappongono e si intrecciano nel suo vicino, ma, d’altro canto, è disonesto affermare che i ribelli ruandesi in Congo, compresi i genocidari fuggitivi che costituivano la maggior parte dei leader delle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (Fdlr) nel 2000, rappresentino ancora una minaccia imminente per il Ruanda.
La guerra non si svolge solo sul campo di battaglia, ma anche sui social network e nella coscienza collettiva. Il cardinale di Kinshasa, Fridolin Ambongo, ha accusato il Ruanda di avere “ambizioni espansionistiche” e di impegnarsi in un “saccheggio sistematico” delle risorse congolesi. Il cantante Fally Ipupa, una delle più grandi star della Rdc, ha detto che non si esibirà più in Ruanda. Il medico congolese Denis Mukwege, vincitore del Premio Nobel per la pace nel 2018, ha invitato i donatori occidentali a sanzionare il Ruanda. In un sondaggio condotto nel 2022, il 77% dei congolesi intervistati ritiene che il Ruanda sia responsabile del conflitto.
Per quanto riguarda il Ruanda, è chiaro che il partito al potere si sente ingiustamente accusato. “Il Ruanda non esiterà né si scuserà mai per aver protetto la sicurezza del suo popolo”, ha affermato Paul Kagame. Sebbene sia difficile valutare l’opinione popolare in un Paese così autoritario – e sebbene il governo spesso trasmetta il proprio punto di vista attraverso un esercito digitale sui social media – molti ruandesi, soprattutto i più anziani, temono che le divisioni etniche del passato verranno rianimate e che la scintilla verrà dall’est della Rdc. Trent’anni dopo il genocidio, non meno del 25% della popolazione – e ancora di più tra i sopravvissuti al genocidio contro i tutsi – soffre di disturbo da stress post-traumatico.
La crisi
L’attuale crisi nel nord-est della Repubblica Democratica del Congo, i cui protagonisti sono il gruppo ribelle M23 e il Ruanda, segue un periodo di relativa calma e di tentativi di avvicinamento tra il presidente congolese Felix Tshisekedi e ruandese, Paul Kagame, iniziata con l’arrivo al potere di Tshisekedi nel 2019.
Secondo gli analisti esperti della regione Jason Stearns e Archie Macintosh, in un articolo pubblicato dal sito AfriqueXXI, una probabile spiegazione per ciò che ha scatenato l’escalation risiede nelle relazioni tese del Ruanda con altri due vicini.
A metà del 2021, Felix Tshisekedi ha iniziato a rafforzare i legami con l’Uganda, firmando accordi di costruzione di strade e di investimenti. Poi, il 16 novembre 2021, un trio di attentatori suicidi si è fatto esplodere nel centro di Kampala, la capitale dell’Uganda, uccidendo 4 persone e ferendone 37. Il governo ugandese ha poi inviato diverse migliaia di soldati nella Rdc per effettuare operazioni congiunte contro le Adf – un gruppo armato di origine ugandese basato in Congo – ritenute responsabili dell’attentato. Questa proiezione del potere militare ed economico dell’Uganda nella Rdc è stata vista come una minaccia dai funzionari della sicurezza ruandesi, scrivono gli autori dell’approfondimento.
Allo stesso tempo, il governo del Burundi, che aveva (e ha tuttora) rapporti tesi con il Ruanda, ha schierato il suo esercito nella Rdc contro un gruppo ribelle burundese stanziato nel suo territorio. Il Ruanda si è sentito circondato da forze ostili e ha risposto schierando tra i 3.000 e i 4.000 soldati nella Rdc per sostenere l’M23.
È difficile distinguere le ragioni legate alla sicurezza da quelle economiche. Il Ruanda, come l’Uganda e il Burundi, trae vantaggio dall’instabilità della Rdc. Anche prima della crisi del M23, ha approfittato della debolezza dello Stato per proiettare le proprie reti economiche nell’entroterra congolese, sostenendo le reti di trafficanti che contrabbandano grandi quantità di oro, stagno e tungsteno in Ruanda. Dal 2016, l’oro contrabbandato dalla Rdc è stato la principale esportazione per tutti e tre i Paesi.
Gli analisti riferiscono che non c’era stata alcuna ripresa del sentimento anti-tutsi prima della ricomparsa dell’M23 nel novembre 2021. Certamente, circa 80.000 tutsi congolesi vivono nei campi profughi in Ruanda, alcuni da quasi trent’anni. E certamente il sentimento anti-tutsi viene utilizzato dai politici congolesi per guadagnare popolarità e distogliere l’attenzione dei congolesi ed evitare così di assumersi la responsabilità dei loro fallimenti socio-economici. Ma sembra improbabile che questa sia stata la motivazione principale del Ruanda per sostenere l’M23: in tutti gli incontri tra Tshisekedi e Kagame prima del risveglio della ribellione, l’ultimo dei quali avvenne a metà del 2021, non vi è alcuna traccia pubblica di questa questione.
Anche le proteste del Ruanda sulla discriminazione contro i tutsi non corrispondono al modo in cui il suo governo ha trattato i rifugiati tutsi congolesi nel proprio Paese. Nel 2018, ad esempio, la polizia ha aperto il fuoco su una folla di rifugiati di Banyamulenge (tutsi che vivono nell’est del Congo) che protestavano contro la riduzione delle razioni alimentari, uccidendo almeno dodici persone. Il Cndp (ex ribellione)e l’M23 hanno inoltre effettuato più volte il reclutamento forzato di civili tutsi, compresi bambini, nei campi del Ruanda, come documentato da diversi rapporti degli investigatori dell’Onu.
È piuttosto in risposta alla ribellione dell’M23 che sono aumentate le persecuzioni contro la comunità tutsi, facendo leva sugli stessi argomenti di cospiratori o negazionisti del genocidio ruandese come lo scrittore franco-camerunese Charles Onana (al quale l’articolo di AfriqueXXI dedica un ampio capitolo). Nel novembre 2023, nella città di confine di Goma, una folla ha linciato un soldato Banyamulenge, accusato di essere un combattente dell’M23 in base alle sue caratteristiche fisiche. Secondo l’Ong Human Rights Watch, diversi tutsi sono stati uccisi in circostanze simili, mentre decine di persone sono state arrestate a causa della loro identità etnica. Il Ruanda ha potuto denunciare questi casi di odio ed estremismo, sostenendo che queste erano le vere fonti del conflitto.
Infine, alcune influenti figure ruandesi hanno giustificato l’intervento nella Rdc evocando un “Grande Ruanda” e ricordando che il Ruanda ha rivendicazioni storiche su alcune parti della Rdc orientale risalenti al 19° secolo. Esiste un famoso precedente: quando il Ruanda lanciò la sua prima invasione dello Zaire nel 1996, l’allora presidente Pasteur Bizimungu mostrò ai diplomatici una mappa di un Ruanda più grande del 50% rispetto ai suoi attuali confini che si estendeva fino all’interno della Rdc. Mappe simili sono state mostrate durante gli itorero, programmi di educazione civica tenuti in tutto il Ruanda, in cui i partecipanti hanno appreso della presunta età dell’oro precoloniale del Ruanda. Kagame ha ripreso questo tema in un discorso del 2023, dicendo: “Per quanto riguarda la M23 […] dovreste sapere che i confini tracciati durante il periodo coloniale hanno fatto a pezzi i nostri Paesi. Gran parte del Ruanda, del Congo orientale e del sud-ovest dell’Uganda furono esclusi. […] È l’origine del problema.”
Anche se i confini passati giustificassero un’aggressione militare (ma non è così, scrivono Stearns e Macintosh), le rivendicazioni del Ruanda sulla parte orientale della Rdc sono deboli. Come hanno sottolineato gli storici, gli eserciti ruandesi occuparono solo brevemente piccole parti di questa regione nel XIX secolo, senza mai controllarle completamente. E anche se alcuni leader locali rendevano loro omaggio, spesso erano anche fieramente indipendenti. Purtroppo, queste testimonianze storiche rafforzano anche in Congo l’idea di una volontà del governo del Ruanda di istituire un “Tutsiland”, una fantasia diffusa da Charles Onana e altri, ma che dopo 28 anni ci violenze guerre cicliche, trova facilmente sostenitori.