di Enrico Casale – foto di Amanuel Sileshi / AfP
In Etiopia sopravvive una linea ferroviaria vecchia e lenta, ma essenziale per la popolazione. Malgrado la nuova linea Addis Abeba-Gibuti costruita dai cinesi sia più rapida ed efficiente, gran parte della popolazione continua a viaggiare sugli scalcagnati treni che stantuffano sulla ferrovia ultracentenaria, mantenuti in vita grazie al lavoro e all’orgoglio di infaticabili meccanici e macchinisti
Da lontano assomiglia a uno di quei trenini dei film dei cowboy. Una piccola locomotiva e tre o quattro vagoni stracolmi di gente, bagagli e merci. Avanza lentamente sulle rotaie a scartamento ridotto. Sembra un pezzo di storia sopravvissuto al suo destino. Eppure quel treno ha avuto, e in parte ha tuttora, un’importanza strategica per l’Etiopia.
La tratta Addis Abeba-Gibuti è stata per anni l’unico cordone ombelicale che legava l’Etiopia, rimasta senza sbocco al mare dopo l’indipendenza dell’Eritrea, all’Oceano Indiano e al canale di Suez. Su quel trenino passava gran parte della produzione agricola e industriale etiopica e, sempre grazie a quel trenino, il Paese riusciva a procurarsi i beni necessari alla sua economia. E, benché sia stata costruita, grazie al supporto della Cina, una linea più moderna e più veloce, la vecchia linea non ha perso la sua importanza per la popolazione, che la usa ancora per i collegamenti locali e si oppone alla soppressione della tratta (che i vertici di Addis Abeba considerano un ramo secco).
Una storia centenaria
L’idea di una ferrovia che collegasse l’entroterra al porto di Gibuti risale agli anni Sessanta dell’Ottocento. Tuttavia, è solo nel 1894 che la tratta inizia a prendere forma, con l’approvazione del progetto da parte dell’imperatore Menelik II, negus d’Etiopia, e del governo francese. La costruzione inizia nel 1897 e viene affidata alla francese Compagnie Impériale des Chemins de Fer Éthiopiens. La linea viene completata in diverse fasi: il primo tronco, Gibuti-Dire Dawa, è inaugurato nel 1901, mentre quello da Dire Dawa ad Addis Abeba è aperto nel 1917. La ferrovia – utilizzata per il trasporto di merci, in particolare il caffè, che già allora era un’importante voce dell’export etiope – svolge da subito un ruolo chiave nello sviluppo economico e nell’integrazione del Paese con il mondo esterno.
Durante il periodo in cui l’Etiopia diventa colonia italiana, la proprietà resta comunque alla società anglo-francese, la quale utilizza treni a vapore di tipo Krupp che impiegano 36 ore complessive per coprire la tratta. Gli italiani tentano di velocizzare con l’introduzione, dal 1938, di materiale rotabile di costruzione Ansaldo e Breda e quattro motrici Fiat. E progettano l’ampliamento della ferrovia con la creazione di tre stazioni ferroviarie ad Addis Abeba che possano sostituire la vecchia stazione (Lagaar), destinata a essere abbattuta. A causa dello scoppio della Seconda guerra mondiale, i piani restano sulla carta, così come vengono abbandonati i progetti di collegamento con la rete eritrea. Nel 1941, in seguito all’abbandono della colonia da parte italiana, la linea passa in gestione al genio militare inglese e poi, al rientro del Negus, la conduzione della ferrovia torna ai francesi, che la assegnano alla Compagnie Française des Chemins de Fer de l’Indochine et du Yunnan, che opererà fino al 1977, quando il governo etiope, sotto il regime comunista del Derg, nazionalizzerà la ferrovia.
Linea all’avanguardia
La vecchia linea è rimasta vitale per anni. Col tempo, però, si è rivelata insufficiente a rispondere ai bisogni di un’economia in forte crescita. Negli anni Duemila è così nato il progetto di una nuova ferrovia Etiopia-Gibuti. Addis Abeba si è rivolta alla Cina, che ha stilato il progetto prevedendo massicciate e materiale rotabile nuovi e all’avanguardia. La nuova linea è stata inaugurata nel gennaio 2018. Lunga 752,7 chilometri, è diventato il collegamento ferroviario di riferimento tra l’Etiopia e Gibuti, ed è entrata di diritto nella Belt and Road Initiative, la nuova Via della Seta voluta da Pechino per collegare la Cina all’Occidente. Di recente il ministro etiope dei Trasporti Alemu Sime ha reso noto che finora hanno viaggiato sulla nuova ferrovia 1.824 treni, con 531.000 passeggeri, e 6.133 treni merci per oltre sette milioni di tonnellate di carico. «La Addis Abeba-Gibuti non è solo una linea di trasporto, ma anche un corridoio economico e una strada verso la prosperità», ha dichiarato il ministro commentando i numeri. «Ha aperto all’Etiopia un corridoio ferroviario verso il mare, favorendo lo sviluppo dell’industrializzazione e dell’urbanizzazione lungo il suo percorso».
Notando che la ferrovia ha assistito l’Etiopia nel trasporto di oltre 100.000 tonnellate di fertilizzanti e grano e di altre forniture urgenti durante la pandemia da covid-19, Sime ha affermato che essa «assicura la fornitura di mezzi di sussistenza e di prodotti agricoli in Etiopia, dimostrando il suo grande valore». Secondo il ministro, se si tengono presenti le fasi di costruzione e di funzionamento, la tratta Etiopia-Gibuti ha creato 55.000 posti di lavoro e formato più di 3.000 professionisti del settore ferroviario, gettando solide basi per lo sviluppo dell’industria ferroviaria in Etiopia e a Gibuti.
Un treno vicino alla gente
Nonostante i successi, la vecchia tratta non è stata dismessa e, sebbene i vagoni abbiano quasi 70 anni, rimane indispensabile per il traffico locale. La locomotiva diesel traina quattro carri merci in legno e due carrozze passeggeri di metallo sbiadito. Sulle panche si accomodano un centinaio di persone con i loro bagagli. Questo treno è «il nostro mezzo di trasporto», spiega una giovane donna che va «a comprare riso, zucchero, pasta, spezie, passata di pomodoro, olio».
Ormai, dell’antica tratta che copriva i 784 chilometri dal centro di Gibuti al cuore di Addis Abeba ne sono attivi solo 200 circa. Alla gente non interessa se il treno è lento, il rollio è insopportabile, la polvere dappertutto. A questi vagoni rimane affezionata e chiede che la linea non venga tagliata. Non è solo un fatto di cuore. Molti passeggeri trovano scomodo che il nuovo treno cinese fermi in stazioni fuori Addis Abeba e Gibuti e che tocchi solo tre stazioni, contro le otto del «treno francese». «Il treno cinese non si ferma in nessuna stazione vicina alle nostre abitazioni. Storicamente, le persone si sono stabilite vicino alle stazioni ferroviarie. Alcuni luoghi sono inaccessibili in auto e l’unico mezzo di trasporto è il treno», ricorda Mulugeta Kebede, 70 anni, macchinista del «vecchio treno». «La gente dice che il moderno treno cinese è un aereo inutile» perché non si ferma da nessuna parte, ironizza Ismail Khayad, vicedirettore generale della Dire Dawa-Dewele Railway, ora gestita dalle autorità locali. A ciò si aggiunge il prezzo del biglietto per il nuovo convoglio ferroviario, troppo alto per le tasche della povera gente.
Vecchi ferrovieri
La manutenzione necessaria al mantenimento in funzione di questi treni storici viene effettuata nelle vecchie officine ferroviarie, anche se ormai i tecnici specializzati sono pochi e sempre più anziani. Così come i macchinari, alcuni anziani quanto la stessa ferrovia. «Elwell&Seyrig, Plaine St-Denis, 1903», si legge sulla targa d’acciaio su una macchina vintage gestita dal tecnico veterano Belay Mulu, che la accende per dimostrare che funziona ancora, anche se oggi lui si affida a un macchinario più recente per riparare e rimettere in servizio i pezzi guasti dei treni. L’amministrazione ferroviaria non ha infatti fondi sufficienti per acquistare ricambi nuovi. «Non abbiamo molto lavoro, ora, perché non c’è molto traffico», dice Berhanou Bekele, 60 anni, che dirige il dipartimento per le riparazioni delle attrezzature, «ma ci occupiamo di mantenere in efficienza il materiale rotabile. Facciamo tutto il possibile per riuscire a portare avanti la storia di questa antica tratta». Oltre a mantenere i treni sui binari, queste officine sono un servizio fondamentale per la regione, i cui artigiani rivolgono le loro competenze alla riparazione delle attrezzature negli ospedali e nelle fabbriche. «Non esiste un’officina simile nel raggio di 500 chilometri», spiega Woubest Arefe, che si affida ai tecnici dello scalo ferroviario per costruire parti fondamentali per la fabbrica di detergenti che gestisce.
I ferrovieri si rifiutano di far sparire il loro bagaglio secolare di competenze. «Lo abbiamo ricevuto dai nostri anziani e dobbiamo trasmetterlo alla prossima generazione per preservarlo», dice Ahmed Abdallah, un macchinista di 53 anni. «Le persone invecchiano, ma la conoscenza non invecchia mai». Al loro fianco, la popolazione che mai rinuncerebbe al servizio. E così continua lo sferragliare del loro «vecchio treno del Negus». Nella speranza che Addis Abeba non voglia cancellare un pezzo di storia.
Questo articolo è uscito sul numero di novembre-dicembre della rivista Africa. Per acquistare una copia, clicca qui, o visita l’eshop.