“Più di 5.000 persone uccise, almeno 7,1 milioni sradicate dalle loro case, oltre 6 milioni sull’orlo della carestia, e questi numeri continueranno a crescere fino a quando continueranno a parlare le armi. La comunità internazionale può e deve fare di più per contribuire a fermare i combattimenti in Sudan”: è quanto ha detto il capo per gli Affari politici delle Nazioni Unite, Rosemary DiCarlo, a un evento ministeriale intitolato “Il costo dell’inazione in Sudan”, che si è tenuto a margine della 78esima Assemblea generale dell’Onu a New York.
DiCarlo ha invitato l’esercito nazionale e le forze paramilitari di supporto rapido a deporre le armi, dopo oltre cinque mesi di conflitto, e la comunità internazionale “a trovare una strada verso una soluzione politica”. Quindi, ha aggiunto, “dobbiamo aumentare la pressione sulle parti in conflitto perché mettano fine agli attacchi contro i civili e contro le infrastrutture civili, compresi i centri sanitari e gli ospedali, e garantiscano l’accesso sicuro e illimitato degli attori umanitari a coloro che ne hanno bisogno”.
Ad oggi l’Ufficio di coordinamento Onu degli Affari umanitari (Ocha) e i partner hanno raggiunto circa 3,5 milioni di persone con aiuti importanti, “ma questo equivale solo al 19% dei 18 milioni di persone a cui ci rivolgiamo”, ha precisato nel corso dell’evento il responsabile Onu per gli Affari umanitari, Martin Griffiths. Il Sudan, ha aggiunto, è diventato forse il teatro operativo più pericoloso e complesso al mondo, dove si riscontrano anche difficoltà di accesso e ostacoli burocratici.