Una nottata davvero speciale è quella in programma per il 30 settembre a Bologna, presso la Chiesa di San Benedetto in Via dell’Indipendenza 64. Una notte con il Congo RD è infatti il titolo dell’evento che, organizzato da Rete Pace per il Congo, dalle 21.00 di sabato alle 6.00 di domenica 1° ottobre prevede testimonianze, interviste, proiezioni di video, canti e musica per capire quanto sta avvenendo nella RDC e per stare accanto al suo popolo. In programma anche la preziosa testimonianza di Padre Emmanuel Bueya, gesuita congolese, filosofo, politico e animatore culturale del CEPAS (Centre D’Etude Pour L’Action Sociale) a Kinshasa.
Il gruppo di missionari e di laici di Rete Pace per il Congo, in collaborazione con la Diocesi di Bologna e i Centri Missionari Diocesani della Regione Emilia Romagna, alla vigilia della visita di Papa Francesco alla città di Bologna, hanno infatti accolto l’invito dei Vescovi congolesi a pregare e digiunare insieme. Passeranno così una notte con il popolo della Repubblica Democratica del Congo, accanto alle sue sofferenze, alle sue lotte non violente, alle sue speranze.
La Repubblica Democratica del Congo sta infatti attraversando un periodo teso e difficile causato dal rifiuto del presidente Joseph Kabila di lasciare il potere, nonostante abbia terminato, lo scorso dicembre, i due mandati previsti dalla Costituzione. Per prendere tempo non ha ancora fissato la data delle elezioni. Il malcontento, pertanto, sta crescendo sia nella capitale che in diverse regioni del Paese.
Ricco nel suolo, nel sottosuolo, e soprattutto nella calda umanità dei suoi abitanti, il popolo congolese non ha tuttavia mai conosciuto una vera pace nella giustizia. Uscito nel 1960 da un duro periodo coloniale, solo per un breve momento ha gustato il sogno di dignità e di giustizia, precipitando presto in una lunga dittatura che l’ha impoverito e umiliato. Dal 1996 ha subito l’impatto di due violentissime guerre, orchestrate oltre frontiera che, con una sequela non ancora terminata di violenze, hanno fatto più di sei milioni di morti, quasi tutti civili, vittime di massacri, fame, distruzioni e stupri usati come arma di guerra. Benché ancora afflitto dall’insicurezza, con entusiasmo il popolo congolese andò alle urne nel 2006 per eleggere il suo Presidente. In quell’anno approvò anche la sua nuova Costituzione, che prevedeva due soli mandati per il Capo dello Stato.
Il secondo e ultimo mandato del Presidente Joseph Kabila è scaduto il 19 dicembre scorso, senza che fossero organizzate le elezioni e il Paese ha rischiato di cadere nel caos. I Vescovi hanno tentato una mediazione inclusiva di tutte le forze, giungendo all’accordo detto di S. Silvestro 2016. Ad oggi, però, la tensione resta alta e, a causa del non rispetto di quest’accordo, nessun appuntamento elettorale si profila ancora con precisione all’orizzonte.
Il popolo conosce la fame aggravata da una svalutazione galoppante della moneta che quest’anno ha perso il 30% del suo valore. I salari della maggior parte della popolazione sono diventati infimi, mentre i politici altolocati nuotano nella ricchezza. La siccità, che ha colpito vaste zone dell’Est, ha trovato agricoltori abbandonati a loro stessi. Tutto si paga: la scuola come la sanità e chi non ha mezzi non vi accede. La corruzione prosciuga le tasche della gente o la esclude dai suoi diritti. Di fronte a un piccolo nucleo di arricchiti, i quattro quinti degli 80 milioni di Congolesi vivono in situazione di estrema povertà; circa otto milioni di loro, secondo la FAO, sono alla fame. L’insicurezza è ancora alta, soprattutto nelle zone minerarie e agricole del Kivu, con rapimenti, uccisioni, distruzioni. Il banditismo prospera e una miriade di gruppi armati ottengono armi dal commercio illegale di minerali. Molte persone vengono rapite, e liberate solo su riscatto, il che spinge all’impoverimento famiglie già provate. Nonostante la presenza di circa 19mila militari dell’ONU e dell’esercito congolese, il territorio non è governato. Nel Kasai, che brucia dall’agosto 2016 per una ribellione durissimamente repressa, si contano oltre tremila uccisi e un milione e quattrocentomila sfollati. Secondo i calcoli dell’ONU, l’intero Paese conta circa quattro milioni di sfollati interni.
Malgrado ciò, la popolazione resiste con tenacia, molti giovani in particolare. Benché in vari Paesi circostanti il Presidente sembri eternizzarsi al potere, il popolo congolese mantiene il sogno di una democrazia possibile, di una libertà possibile, di una giustizia possibile. Ha pagato e paga il suo coraggio di parlare, di sfilare, di denunciare, con le minacce, gli attentati, gli arresti e perfino la morte. Ma resta indomito.
“Da parte nostra, vogliamo passare una notte con questo popolo. Per sapere, per partecipare, per includere nel nostro mondo un popolo la cui sofferenza ha anche radici lontane, che giungono fino a noi. Chi non potrà partecipare, potrà sempre trovare altri modi di stare accanto al Congo, attraverso iniziative personali o di gruppo”.