Una città fantasma. Questa è Palma, centro a ridosso del confine con la Tanzania che fino a poco tempo fa sembrava essere destinata a diventare la “capitale” del gas del Mozambico ovvero della risorsa su cui Maputo aveva scommesso il proprio sviluppo. In questa estrema propaggine della provincia di Cabo Delgado, ricca di risorse ma povera e da sempre lontana dai gangli del potere, non c’è più traccia dei suoi 75 mila abitanti. Si sono nascosti o sono fuggiti per scampare alle violenze scatenate da un numero imprecisato di insorti.
L’esercito è arrivato tardi, quando ormai la maggioranza della popolazione era fuggita. Ora starebbe avanzando, setacciando casa per casa. I jihadisti, secondo alcuni osservatori, sarebbero andati via, lasciando qualche uomo indietro per rallentare l’avanzata dei governativi. Di certo, per Maputo si è trattato di una batosta difficile da dimenticare. Ancora più difficile anche perché altamente prevedibile.
Sulle modalità dell’attacco appare chiaro che nei giorni immediatamente precedenti (quindi prima del 24 marzo), uomini armati abbiano fatto gradualmente ingresso nella città, in piccoli gruppi o da soli, a volte camuffati da militari o poliziotti, trovando rifugio in abitazioni messe a disposizione da fiancheggiatori. Alcuni gruppi sono arrivati invece direttamente mercoledì 24 marzo, giorno dei primi attacchi. La modalità è stata la stessa vista a Mocimboa da Praia.
I primi obiettivi sono stati gli edifici governativi, una stazione di polizia e una caserma; nel mirino anche due banche. Secondo alcune ricostruzioni, nei primi giorni gli aggressori sono andati di casa in casa colpendo persone selezionate. Solo successivamente gli attacchi sarebbero diventati indiscriminati, con l’obiettivo di scatenare il terrore. Ad aumentare gli effetti delle vuolenze, l’incapacità di organizzare aiuti e risposte organizzate: i primi soccorsi sono stati forniti da gente del posto in maniera spontanea; solo dopo c’è stato il coinvolgimento degli uomini della compagnia privata di sicurezza sudafricana Dag che con i suoi elicotteri ha portato in salvo alcune centinaia di persone. Ancora dopo sono intervenuti esercito, polizia e la sicurezza della Total. La compagnia energetica francese, che da poco aveva annunciato il riavvio delle sue operazioni nel sito di Afungi, è stata costretta a fare un passo indietro e ha ridotto al minimo le sue attività. Secondo la stessa Dag, gli insorti hanno usato armi di cui erano entrati in possesso nei mesi scorsi in seguito ad attacchi contro depositi di esercito e polizia; per la prima volta gli insorti hanno fatto uso di mortai, armi non in dotazione dell’esercito, secondo alcune versioni fatte entrare attraverso la Tanzania.
Diversi osservatori hanno fatto notare come l’attacco a Palma è avvenuto dopo lunghi mesi di assedio e al termine della stagione delle piogge, con modalità simili a quelle viste a Mocimboa da Praia: benché l’attacco fosse dunque prevedibile, non sembra però fossero stati approntati piani di risposta adeguati. Anzi l’esercito mozambicano è apparso allo sbando, incapace di reagire. Considerazione opposta per i jihadisti, apparsi ben armati e addestrati, in grado di infiltrarsi, quasi invisibili. Affiliato all’Isis dal 2019, questo gruppo sembra anche essere stato in grado di fare leva su situazioni di malessere sociale e sfruttare divisioni latenti. Una trama purtroppo già vista altrove.
(Gianfranco Belgrano)