La Corte Suprema del Malawi ha stabilito ieri che la pena di morte è incostituzionale dichiarandola fuori legge e ordinando il ri-esame di tutti i condannati che rischiano l’esecuzione. Nel Paese la pena capitale era obbligatoria per tutti i detenuti condannati per i reati di omicidio o tradimento ed era prevista, ma opzionale, anche nei casi di stupro e furto in appartamento. Stando all’organizzazione di difesa dei diritti umani Amnesty International, però, le ultime esecuzioni sono state eseguite in Malawi probabilmente nel 1992, quando vennero uccisi almeno 12 detenuti, e non oltre. Nel 1994 il primo presidente eletto democraticamente dalla dichiarazione di indipendenza dalla Gran Bretagna nel 1964, Bakili Muluzi, decise di non applicare più la pena capitale e commutò la sentenza di 120 prigionieri condannati a morte. Il Malawi ora diventa il 22° paese sub-sahariano ad abolire la pena di morte, prima di lui il Ciad.
Notizie opposte giungono invece dall’Egitto dove, il 26 aprile, sono state giustiziate nove persone, tra cui un uomo di 82 anni, in relazione all’uccisione di 13 agenti di polizia durante un attacco alla stazione di polizia di Kerdasa, nell’agosto 2013. “L’esecuzione di nove persone è una dimostrazione agghiacciante del disprezzo delle autorità egiziane per il diritto alla vita e per i loro obblighi ai sensi del diritto internazionale – ha dichiarato Philip Luther, Direttore per la ricerca e l’advocacy del Medio Oriente e del Nord Africa di Amnesty International -. Con queste esecuzioni durante il mese sacro del Ramadan, le autorità egiziane hanno mostrato una spietata determinazione a persistere con il loro uso crescente della pena di morte”. Amnesty ha giudicato “gravemente iniquo” il processo al quale sono stati sottoposti gli imputati ai quali “è stato negato l’accesso ai loro avvocati e che sono stati costretti a confessare. Secondo il diritto internazionale, i procedimenti in cause capitali devono osservare scrupolosamente gli standard del giusto processo e le esecuzioni dopo processi iniqui violano il diritto alla vita”. L’organizzazione di difesa dei diritti umani ha quindi chiesto che “le autorità egiziane pongano immediatamente fine a questa allarmante ondata di esecuzioni”.
Proprio l’Egitto, infatti, secondo lo scenario tratteggiato da Amensty International nel suo ultimo rapporto globale sulla pena di morte uscito lo scorso 21 aprile e relativo al 2020, rimane in cima alla classifica dei Paesi africani che hanno inflitto ed eseguito più condanne a morte, oltre che figurare nella rosa dei Paesi che, a livello mondiale, hanno più fatto ricorso alla pena capitale insieme a Cina, Iran, Iraq e Arabia Saudita. In Egitto, c’è stato un aumento significativo del numero di esecuzioni: 107 quelle registrate, a fronte delle 264 sentenze di morte. Numeri che sono di tre volte superiori alle 32 esecuzioni registrate nel 2019. Amnesty International ha anche sottolineato che il Paese nordafricano è al secondo posto per condanne capitali inflitte a donne.
In generale, nel continente africano, la condanna alla pena capitale è ancora molto frequente, ma si esegue meno. Per quanto riguarda l’Africa subsahariana, l’uso della pena di morte si è ridotto e le esecuzioni registrate nella regione sono scese del 36%: da 25 nel 2019 a 16 nel 2020, concentrate in tre Paesi- Botswana, Somalia e Sud Sudan; una in meno rispetto al 2019, precisa il rapporto. Anche le sentenze di morte registrate sono diminuite del 6%, da 325 nel 2019 a 305 nel 2020. Il fattore positivo è anche che le commutazioni di condanne a morte registrate sono aumentate dell’87%, da 165 nel 2019 a 309 nel 2020. Dato che si aggiunge al fatto che vi sono Paesi come il Ciad nel maggio 2020 e, ora anche il Malawi, che hanno abolito la pena aggiungendosi a una lista che contava già 20 Paesi in Africa.
Segnali questi che fanno ben sperare. Come sottolinea la collega Stefania Ragusa in un precedente approfondimento, infatti, “molti fattori ci autorizzano a pensare che sarà proprio l’Africa il prossimo continente a liberarsi da questo istituto inaccettabile”. Di questo avviso – scrive la giornalista – è Antonio Salvati, membro della Comunità di Sant’Egidio e autore di L’Africa non uccide più, libro pubblicato lo scorso luglio da Infinito Edizioni e che ricostruisce il percorso del continente verso l’abolizione della pena di morte.
Stefania Ragusa lo scorso anno terminava il proprio articolo chiedendosi che nazione avrebbe seguito il Ciad nell’abolizione della pena. Oggi, a distanza di un anno esatto, abbiamo per fortuna una risposta grazie alla decisione presa dal Malawi. Vogliamo però riproporre il quesito: chi sarà il prossimo?
(Valentina Giulia Milani)