«Puntare tutto sul petrolio è rischioso e gli angolani se ne stanno rendendo conto», dice padre Renzo Adorni, a Luanda con la Società missioni africane (Sma). Nelle strade della capitale ci sono ancora i segni dei disordini di lunedì, copertoni bruciati e vetri rotti. Spaccati a colpi di pietre dai «candongueiros», i tassisti al volante dei furgoncini Toyota bianchi e azzurri che ogni giorno permettono a centinaia di migliaia di persone di raggiungere scuole e uffici.
La violenza è esplosa all’improvviso, in una giornata di sciopero e disagi, ma covava da mesi. «Il conflitto – sottolinea padre Adorni – è stato innescato dal ridursi dei guadagni dovuti all’aumento del prezzo del carburante a fronte di tariffe per i passeggeri già concordate con lo Stato e dunque fisse».
Seconda potenza petrolifera dell’area sub-sahariana, l’Angola è stata colpita duramente dal crollo dei prezzi del greggio. All’inizio di quest’anno il brusco calo delle entrate ha costretto il governo a tagliare del 14% le previsioni di spesa e ad abolire i sussidi che fino ad allora avevano tenuto bassi i prezzi dei carburanti. Nell’arco di sette mesi il costo della benzina è così cresciuto del 91%, mentre quello del diesel addirittura del 125%.
I disordini di lunedì, dunque, hanno solo manifestato tensioni sociali latenti. «Nei mercati i prezzi crescono costantemente – dice il missionario – mentre gli stipendi di chi un lavoro ce l’ha restano gli stessi». Il problema avrebbe potuto essere evitato, forse, con politiche lungimiranti e all’insegna di un cambiamento radicale. «Queste difficoltà – dice padre Adorni – confermano la necessità di ridurre la dipendenza dell’economia nazionale dal petrolio e di puntare sull’agricoltura, il turismo o comunque settori non soggetti al ciclo della domanda di materie prime». L’allarme è stato rilanciato di recente da José Pedro de Morais, il governatore della Banca centrale dell’Angola. «Dobbiamo trovare altre fonti di crescita», ha detto dopo l’ennesima svalutazione del kwanza, ricordando come il greggio valga ancora il 40% del Prodotto interno lordo e il 95% delle esportazioni.
(08/10/2015 Fonte: Misna)
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