È morto ieri mattina a Bruxelles Jean-Baptiste Bagaza. Tutsi, 69 anni, era stato Presidente del Burundi dal 1976 al 1987. La sua è una figura controversa. Certamente lavorò per far crescere il suo Paese: varò politiche di sviluppo economico innovative per l’epoca e successivamente imitate con ottimi risultati dai Presidenti Yower Museveni (Uganda) e Paul Kagame (Rwanda). Durante il suo mandato, si registrò un boom della edilizia pubblica, migliorarono le infrastrutture, crebbe l’industria manifatturiera, il settore educativo venne riformato e potenziato perché visto come come motore portante dello sviluppo del Paese.
Bagaza prese però anche alcune misure decisamente impopolari. Appena prima di essere rovesciato dal potere, vietò tutte le preghiere pubbliche nei giorni feriali. Vennero inoltre espulsi numerosi missionari cattolici, accusati di appoggiare la maggioranza hutu. Bagaza temeva che dalla Chiesa cattolica arrivasse un sostegno a una possibile rivolta degli hutu. Non è un caso che alcuni osservatori sostengano che dietro il golpe che lo destituì ci fosse proprio il Vaticano. Si tratta di voci non confermate, anche se è vero che il clero occidentale poté rientrare in Burundi solo sotto la Presidenza di Pierre Buyoya, il successore di Bagaza.
Rientrato nel Paese nel 1994, dopo anni di esilio in Uganda e in Libia, Bagaza fondò il Partito per la ricostruzione nazionale, un partito estremista che aveva lo scopo di difendere il dominio della minoranza tutsi nel Paese. Divenne anche senatore a vita. Durante la recente crisi politica militare, Bagaza criticò duramente il regime del Presidente a. In cambio, il regime lo inserì nelle liste della morte, ma non osò assassinarlo per timore di scatenare una rivolta all’interno delle forze armate e riaccendere il fuoco delle tensioni etniche. Pur essendo considerato un nemico pericoloso, il regime di Nkurunziza ha decretato un lutto nazionale di tre giorni.