Conosciuto come la “Venezia africana”, questo villaggio costruito su palafitte nel lago Nokoué in Benin è popolato da una comunità di pescatori dove le case di legno e le canoe dipinte rappresentano la vita tradizionale e quotidiana sul lago. Ganvié si distingue come un raro esempio di architettura sostenibile, capace di attrarre per la sua bellezza e il suo essere espressione di una cultura che riflette l’equilibrio tra uomo e natura.
Gli abitanti di Ganvié, appartenenti all’etnia Tofinù, costruiscono da tre secoli le loro case su pali di bambù fissati nel fondale del lago. La popolazione ha sempre vissuto principalmente di pesca e la piroga è ancora oggi un mezzo essenziale per la vita quotidiana, usato non solo come mezzo di sussistenza ma anche per muoversi, andare a scuola, andare al mercato. I pescatori per attirare i pesci piantano rami sul fondale, con le foglie in decomposizione che fungono da esca.
La storia di questo villaggio sospeso tra cultura e natura risale a ben quattrocento anni fa, quando i Tofinù si insediarono qui per sfuggire ai cacciatori di schiavi del regno di Dahomey, i quali, per motivi religiosi, evitavano l’acqua, temendo che sotto le acque dimorasse un demone. Da allora, il lago è diventato il loro rifugio e simbolo di libertà. Il nome del villaggio rende omaggio a questa storia, Ganvié significa infatti “siamo sopravvissuti”.
Oggi, circa trentamila persone vivono nel villaggio e sono conosciute come il “popolo delle acque” o “uomini d’acqua”. Tutto ruota (e poggia) ancora sulle palafitte: hotel, scuole, ospedali, aziende, chiese. Per spostarsi si usa esclusivamente la piroga. Se tempo fa la principale fonte di sussistenza era la pesca questa, negli ultimi anni, come evidenziano i dati dell’ufficio turistico locale, è stata sostituita dal turismo diventata la principale fonte di reddito. Ganvié conta circa diecimila visitatori l’anno.