La pandemia poteva rappresentare l’occasione per la casta africana dei ricchi e potenti – che pare vivano in un mondo a parte – di prendere coscienza dei problemi impellenti dei loro Paesi. Non è accaduto. Nel momento dell’emergenza ci sono stati dirigenti che hanno pensato al tornaconto personale anziché ai bisogni della propria gente. Oggi milioni di giovani africani chiedono a gran voce un cambio di passo a chi siede nei palazzi del potere
di Marco Trovato
I lockdown in Africa hanno avuto l’effetto collaterale di costringere per molti mesi i governanti dei Paesi meno sviluppati a condividere le sofferenze e i disagi subiti dai loro cittadini. Impossibilitati a muoversi fuori dai confini nazionali, anche le élite politiche ed economiche hanno dovuto fare i conti con le fragilità dei sistemi sanitari, la carenza di farmaci e di professionisti, la mancanza di ossigeno e di posti di rianimazione.
I più fortunati tra gli ammalati si sono rifugiati in qualche clinica privata. Molti altri hanno dovuto arrendersi all’inadeguatezza delle cure. Tra le vittime del covid ci sono stati deputati, senatori, ministri, governatori. Persino due presidenti (Burundi e Tanzania) pare siano morti a causa del coronavirus… e dello sfacelo degli ospedali. La pandemia poteva rappresentare l’occasione per la casta africana dei ricchi e potenti – che pare vivano in un mondo a parte – di prendere coscienza dei problemi impellenti dei loro Paesi. Non è accaduto. Come c’è stato l’allentamento delle misure anticontagio e le frontiere hanno potuto riaprire, da molte capitali hanno ripreso a decollare i jet privati diretti in Europa, Medio Oriente o Stati Uniti. Il più spudorato è stato il presidente nigeriano Muhammadu Buhari, volato nel Regno Unito per sottoporsi a controlli medici proprio mentre in patria migliaia di dottori e infermieri scioperavano a oltranza per denunciare la drammatica situazione della sanità pubblica e i tagli ai finanziamenti decisi da una classe dirigente corrotta e senza vergogna.
L’emergenza coronavirus ci ha ricordato che, sì, siamo effettivamente tutti sulla stessa barca, ma i presidenti africani ci ricordano che i pochi privilegiati hanno i mezzi per approdare a porti sicuri mentre gli altri sono in balia delle correnti. Il turismo sanitario è una vecchia abitudine praticata dai membri dell’establishment in Africa, gli unici che se lo possano permettere, e nemmeno la più scandalosa. Sono ben noti i casi di oligarchi e di inossidabili presidenti che usano soldi pubblici per fare shopping a Parigi, Milano, Londra o New York. Non fanno nemmeno più notizia le spese pazze sostenute da first ladies e rampolli di capi di stato che, appena possono, partono coi loro aerei alla volta delle grandi città del nord del mondo, anche solo per andare dal parrucchiere o giocare al casinò.
Ci eravamo illusi che la pandemia cambiasse le cose. “Ne usciremo migliori?”. Quante volte ci siamo posti questa domanda. “Non tutti”, verrebbe oggi da rispondere. Anche in Africa – come da noi – abbiamo avuto scandali legati agli aiuti sanitari. Casi di corruzione hanno coinvolto amministratori e personalità politiche di rilievo in Ghana, Kenya, Sudafrica… Nel momento dell’emergenza ci sono stati dirigenti che hanno pensato al tornaconto personale anziché ai bisogni della propria gente.
La reazione migliore alla pandemia ci è giunta, ancora una volta, dalla società civile, capace di resistere e di lottare. Non assieme ai propri governanti: malgrado i propri governanti. Oggi milioni di giovani africani chiedono a gran voce un cambio di passo a chi siede nei palazzi del potere. I movimenti civici di protesta crescono ovunque. C’è una forte spinta dal basso che chiede una svolta. E c’è un disperato bisogno di nuovi leader politici che sappiano incarnare questa voglia di rinnovamento.
(Marco Trovato – Editoriale del numero di novembre-dicembre della Rivista Africa)