«Il senso del Natale: a Dio che si è fatto dono per me, rispondo facendomi dono per gli altri». Una storia di tante storie: “sgarbugliate” una per una con infinita pazienza per non far tornare sulla strada dei ragazzi appena maggiorenni che la pandemia aveva ulteriormente disorientato.
(Ho iniziato a scrivere questo post la sera dell’8 dicembre e l’ho finito solo un minuto fa).
Stamattina, 8 dicembre, gli ultimi dei 40 ragazzi maggiorenni che ci erano stati affidati all’inizio di aprile hanno lasciato le case di Koinonia. Nelle scorse settimane sono stati loro ad assorbire quasi tutto il mio tempo e le mie energie. Così arrivavo a sera senza avere la forza di scrivere qualche riga per aggiornare gli amici.
Sono state giornate in cui i collaboratori più stretti in questo programma – Harrison, Robert e Bernard – mi hanno aiutato a contattare le famiglie dei ragazzi. Non è stato facile, Qualcuno aveva lasciato il villaggio di origine magari a 800 chilometri da Nairobi 10 anni fa. Un paio, appena maggiorenni erano già stati ospitati da istituzioni che all’avvicinarsi del pericolo covid-19 avevano pensato bene di invitarli a ritornare a casa, cioè di rimetterli in strada. Ma c’è stato anche John, che per il dialetto parlato si capiva che era originario di una delle periferie agricole di Nairobi, ma non voleva assolutamente dirci dove fosse la sua famiglia perché aveva paura che tornando a casa sarebbe stato punito per un orribile misfatto di anni fa. Allora ad un certo punto ho dovuto fare il duro e dirgli: «Va bene, o domattina tu ci porti a casa tua, o io ti porto alla stazione centrale di polizia e saranno loro a decidere cosa fare di te». Così ha accettato di guidarci verso casa sua, e abbiamo trovato una famiglia contadina che vive discretamente bene allevando galline da carne. Papà e mamma e fratelli e sorelle minori che al rivederlo hanno pianto di gioia perché l’avevano dato per morto. Il terribile misfatto finalmente è venuto alla luce. Aveva 14 anni quando, nel 2015, il papà gli aveva dato la bicicletta e, sistemate in una gabbia sul portapacchi, 10 galline vive per andare a venderle al mercato di Kiserian. Lui aveva venduto le galline, abbandonato la bici, e poi speso tutto per comperarsi un telefonino. Senza più il coraggio di tornare a casa e raccontare tutto al papà.
Altre storie erano più complicate. Ci son voluti lunghi incontri faccia a faccia, cercando di capire insieme come mai le loro vite avevano preso una direzione cosi sbagliata. Mi son ricordato di quando, bambino durante le vacanze estive, andavo a pescare arborelle con canna e lenza. Mi bastava attraversare la strada per essere sulla riva del lago, a Lecco. Ma ogni mattina la prima cosa da fare era sgarbugliare il filo che il giorno precedente era stato messo via in fretta e furia nell’eccitazione di tornare a casa con una manciata di pesciolini. Sgarbugliarlo era un notevole esercizio di pazienza.
Ecco, così è stato con questi ragazzi. Cercare insieme di sgarbugliare la loro vita. Guardare bene la matassa. Trovare l’inizio del filo, disfare un nodo. Per scoprire subito dopo che ce n’è un altro più intricato. Riprendere il filo. Pazientemente aprire il nodo, evitando giudizi moralistici e inutili rampogne. Ricominciare. In un processo così coinvolgente che dopo un po’ il ragazzo dalla vita ingarbugliata trascina lo sgarbugliatore e non si capisce quale dei due sia più ingarbugliato… I nodi si intrecciano e si complicano. Poi, quando il volonteroso sgarbugliatore sta perdendo la pazienza e vorrebbe buttar via amo, lenza e canna, improvvisamente si disfa un nodo e tutto il filo appare chiaro, e si capisce come si deve continuare. Adesso si può incominciare a pescare. C’era il Grande Sgarbugliatore che, sorridendo, senza farsi vedere, ci ha dato una mano, ci ha accarezzato, direbbe papa Francesco, e ci ha fatto trovare il filo di amore che dava senso a tutto, proprio quando sembrava di aver fra le mani una matassa ormai inutile.
P.S.: Fabio Sironi mi ha scritto: «La bellissima storia a lieto fine di John mi ha ispirato questo disegno che ti mando. È una storia universale che parla del garbuglio che ci accompagna tutti i giorni». Uso il disegno di Fabio per augurare a tutti Buon Natale, e che il Bambino ci aiuti a sgarbugliare le nostre vite, facendoci ritrovare il filo del cuore.
Fabio Sironi, lo scrivo per i non italiani, è un artista, e un raffinato illustratore per un importante quotidiano italiano. È anche un amico che in passato mi ha fatto due ritratti, uno dei quali ha accompagnato per anni una mia colonna su Nigrizia.
Padre Renato Kizito Sesana è un missionario che vive tra Nairobi (Kenya) e Lusaka (Zambia), città dove ha avviato case di accoglienza per bambini e bambine di strada (si chiamano Kivuli, Tone la Maji, Mthunzi…) e molte altre iniziative principalmente rivolte ai giovani, rendendoli protagonisti (come la comunità Koinonia). È cofondatore della onlus Amani, che dall’Italia sostiene la sua opera. Da giornalista, ha sempre avuto una viva attenzione alla comunicazione, dapprima come direttore di Nigrizia, quindi fondando a Nairobi la rivista New People e rendendosi presente sui mezzi di comunicazione keniani e internazionali.