“Te ne sei andato come meglio non potevi sperare”. Il direttore editoriale di Africa ricorda l’amico e collega Angelo Ferrari, giornalista e scrittore, colonna della nostra rivista, scomparso lunedì 2 ottobre, all’età di 63 anni, a seguito di una lunga malattia. Per più di trent’anni ha viaggiato per il continente africano raccontandone le tragedie e i principali conflitti, ma anche le storie di riscatto e le speranze dei suoi popoli.
di Marco Trovato
«Allora, come va?». Iniziavi così ogni telefonata, fatta o ricevuta. E io ero sempre in difficoltà a rispondere. Come avrei potuto lamentarmi di qualche problema o seccatura? Faticavo a essere sincero con te che da anni affrontavi una malattia terribile e che eri sottoposto continuamente a un calvario di pesanti terapie. Le mie difficoltà e preoccupazioni mi parevano cose da nulla se confrontate con quanto stavi vivendo. Eppure ogni volta iniziavi così: «Come stai?». Il tuo interesse era un sincero segno di amicizia, di affetto, di generosità. Ma forse anche un intimo bisogno di normalità. Una normalità che hai sempre cercato di mantenere fin dal primo giorno in cui hai scoperto di avere un tumore incurabile. Non l’hai mai nascosto, mai sbandierato. Mai ho visto un cedimento all’autocommiserazione, mai un’ostentazione della battaglia personale che portavi avanti contro il male che ti consumava il corpo.
Fino all’ultimo hai vissuto con normalità – e con dignità – portando avanti le tue grandi passioni: il giornalismo e l’Africa. Persino quando la malattia, ormai allo stato terminale, ti ha costretto a reggerti su un bastone per stare in piedi, non hai rinunciato a progettare nuovi viaggi. «Sai bene, Angelo, che il bastone in Africa è sinonimo di saggezza e di potere», ti dicevo per strapparti un sorriso. Programmavamo di andare insieme in Centrafrica e Costa d’Avorio, due Paesi a cui eri particolarmente legato. E quelle partenze annunciate rappresentavano per te un traguardo ambizioso che ti spronava a non mollare.
In redazione avevi ereditato il posto del collega e amico Raffaele, scomparso nel 2020. E chissà che in questo momento non siate ancora assieme, da qualche parte, a parlare e discutere appassionatamente del continente che avete amato e raccontato come pochi hanno saputo fare. «L’Africa mi ha aiutato ad affrontare la malattia», avevi confessato durante la presentazione del tuo ultimo libro, in cui racconti la lotta contro il cancro (hai voluto titolarlo Non so come andrà a finire benché ti fosse assolutamente chiaro quale sarebbe stato il finale). «Incrociare la mia vita con quelle di tanti africani è stata un’avventura straordinaria e arricchente».
In Africa eri rimasto affascinato dal potere della fede, quella forza invisibile che dà senso e ordine alla vita di tanta gente. E di fronte ai drammi e ai tormenti di cui eri stato testimone, ti eri sorpreso a invidiare i credenti, capaci di mostrare una serenità che tu, animo irrequieto e dubbioso, non possedevi.
Nell’affrontare la malattia, nel confrontarti con lo spettro della morte, non ti sei aggrappato al cielo, ma ti sei fatto aiutare dalle tante persone di fede, donne e uomini, anziani e bambini, che avevi incontrato nei tuoi viaggi. «In Africa il concetto di ateismo non esiste», spiegavi. «Tutti credono in un’entità trascendente: Dio, Allah, gli spiriti degli antenati. Ognuno ha la propria religione, i propri riti, le proprie preghiere. Ma ciò che gli africani mi hanno più insegnato con la loro fede è la necessità insopprimibile di alzare lo sguardo, di guardare in alto, di guardare al domani con fiducia e serenità. Non è un cedimento alla “creduloneria” ma il desiderio di andare oltre ciò che vediamo».
E questa ispirazione ti ha dato la forza di vivere il presente e progettare il futuro. «Forse mi illudo, ma non voglio demordere», ripetevi ancora pochi giorni fa. «Continuerò a viaggiare finché avrò la forza di prendere un aereo e di tenere in mano il taccuino e la macchina fotografica». Te ne sei andato come meglio non potevi sperare: abbracciato alla donna che hai amato e che ti ha amato. Che quell’abbraccio, dolce e accudente, possa accompagnarti nel tuo ultimo viaggio.
UNA VITA PER L’INFORMAZIONE E L’AFRICA
Già corrispondente dell’Agi dal Congo, Angelo Ferrari per oltre trent’anni ha viaggiato per il continente africano raccontandone le tragedie e i principali conflitti, ma anche le storie di riscatto e le speranze dei suoi popoli: dal Ruanda alla Somalia, dal Centrafrica alla Repubblica democratica del Congo, dalla Costa d’Avorio al Kenya..
«L’Africa mi ha aiutato ad affrontare la malattia, continuerò a viaggiare finché avrò la forza di prendere un aereo e di tenere in mano il taccuino e la macchina fotografica» ci aveva confessato poche settimane fa in una videointervista (che ripubblicheremo oggi alle 18 sui canali social di Africarivista) in cui raccontava la sua battaglia contro il tumore e gli insegnamenti preziosi fornitigli dalle tante persone, donne e uomini, anziani e bambini, che ha incontrato nei suoi viaggi.
“La vita continua, e con essa la tenacia del cronista – ha scritto Angelo. “Forse mi illudo, ma non voglio demordere. Non so come andrà a finire. Ma fino alla fine voglio fare il mio mestiere in Africa”.
Per la rivista Africa ha curato fino all’ultimo la rubrica di analisi geopolitica Prima Pagina, ereditata dal collega e amico Raffaele Masto, scomparso nel 2020.
Tra i suoi libri ricordiamo: Hakuna Matata (2002), Africa gialla (2008), Le nebbie del Congo (2011), Il mondo di Jordy (2014), Mal d’Africa (2020, insieme a Raffaele Masto), La pandemia in Africa (2021, con Freddie del Curatolo), Africa Bazaar (2022) e l’ultimo lavoro: Non so come andrà a finire (296 pp, OGzero 2023, 22 €) di cui abbiamo pubblicato di recente una recensione a cura di Claudia Volonterio.