In attesa di maggiori comunicazioni da parte di Washington dopo l’annuncio della rottura degli accordi militari da parte della giunta di Niamey, i media che seguono regolarmente l’Africa e in particolare il Sahel fanno il punto sulla presenza e il ruolo del dispositivo Usa presente sul territorio nigerino, e che probabilmente dovrà andarsene.
Secondo Rfi, dei mille soldati americani dispiegati in Niger, 700 sono presenti nella base 201 di Agadez, base dove le risorse aeree sono significative. Secondo gli ultimi conteggi, oggi sulle piste ci sono due aerei ricognitori elettromagnetici, due elicotteri di manovra e soprattutto una decina di droni MQ 9 Reaper.
Droni Reaper consentono all’esercito americano di avere una visione dell’intero Sahel e in particolare della Libia, che è la via d’accesso al Mediterraneo, e di costituire lì una minaccia armata.
“Questa partenza forzata rappresenta quindi un enorme passo indietro per Washington che, fino ad allora, si era mostrata molto conciliante con la giunta. Erano convinti, osserva un alto ufficiale francese, di poter agire da soli negli ultimi mesi senza sostenere Parigi e fare amicizia con la giunta”, riporta oggi il media francese.
Gli Stati Uniti dovranno ora trovare un piano B. “Forse saranno motivati a trovare una soluzione con noi”, suggeriscono i militari francesi. L’idea di creare basi franco-americane nell’Africa occidentale è stata menzionata con insistenza nelle ultime settimane. Mentre Parigi vuole sviluppare il suo sistema in Africa, lo scorso gennaio il quotidiano francese Le Monde ha riportato le riflessioni di Washington su possibili basi comuni nel continente.
D’ora in poi anche gli Stati Uniti dovranno riorganizzare il proprio sistema in Africa. Sembra abbastanza ovvio che vorranno mantenere mezzi di sorveglianza nel Sahel. Il Ciad può sembrare una destinazione logica: il paese confina con il Niger, ha un confine comune con la Libia e soprattutto con la Francia, ed è saldamente radicato lì, in particolare con una base aerea a Camp Cosey a N’Djamena, riferisce ancora Rfi.
La Mauritania, il nord del Benin o anche il Marocco potrebbero essere opzioni credibili, anche se ancora non è stato scritto nulla.
La decisione della giunta, annunciata pochi giorni dopo il viaggio di una delegazione americana composta da Molly Phee, vice segretario di Stato per gli affari africani, Celeste Wallander, responsabile per gli affari di sicurezza internazionale, e Michael Langley, capo dell’Africom statunitense, è inequivocabile. Con un tratto di penna, il generale Abdourahamane Tiani ha posto fine a una stretta relazione bilaterale con Washington, durata dodici anni.
“La giunta nigerina, come quella del Mali e del Burkina Faso, ha scelto molto chiaramente la parte di Mosca contro l’Occidente”, commenta l’emittente francese. Washington è stata molto attenta nei confronti della giunta nigerina, un atteggiamento che ha causato non poche tensioni e incomprensioni con Parigi. Nonostante la sospensione della cooperazione militare alla fine di luglio, gli Stati Uniti non hanno qualificato il rovesciamento del presidente Bazoum come un colpo di stato fino al 10 ottobre, due mesi e mezzo dopo l’ascesa al potere dei militari. Di conseguenza, gli aiuti americani sono stati tagliati. Ma per non fare arrabbiare la giunta, Molly Phee, sottosegretaria agli affari africani, due settimane dopo ha elogiato le nuove autorità riconoscendo la legittimità del Cnsp, il consiglio nazionale per la protezione della patria.
All’inizio di dicembre la nuova ambasciatrice Kathleen Fitzgibbon ha consegnato alle autorità le copie delle sue credenziali, un passo molto apprezzato da Niamey. A metà dicembre, Washington, attraverso la voce di Molly Phee, si è detta pronta a riprendere la cooperazione con il Niger a condizione, in particolare, che la giunta si impegni in una breve transizione.