C’è una doppia morale sulla vicenda dei richiedenti asilo portati in Ruanda. Mentre ha scandalizzato il recente accordo tra Londra e Kigali, che prevede che il trasferimento nel cuore dell’Africa dei migranti irregolari richiedenti asilo in Gran Bretagna , nessun clamore ha suscitato un’intesa simile siglata tre anni fa tra governo ruandese e Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Centinaia di migranti evacuati dalla Libia sono stati trasferiti sui voli umanitari in Ruanda. Dove rischiano di restare bloccati per anni
di Andrea Spinelli Barrile
L’accordo tra Londra e Kigali firmato di recente, che prevede che i migranti irregolari richiedenti asilo presso Sua Maestà Elisabetta possano essere trasferiti in Ruanda in attesa di una risposta, sta facendo molto discutere in Europa.
La Corte europea dei diritti dell’uomo è intervenuta costringendo Londra a bloccare il primo volo nella tarda serata del 14 giugno, e anche in Africa sono state sollevati dubbi sulla legittimità dell’accordo: i critici infatti sostengono che non sia legittimo trasferire una persona in attesa di accoglienza a migliaia di chilometri di distanza, altri che il Ruanda non sia esattamente una realtà “democratica” e “libera” in cui attendere risposta, altri ancora che il presidente ruandese Paul Kagame stia solo facendo propaganda per procurarsi manovalanza a basso costo.
La leader dell’opposizione ruandese Victoire Ingabire ha dichiarato alle agenzie internazionali che il governo di Kigali dovrebbe concentrarsi sulle questioni politiche e sociali interne, che spingono alcuni ruandesi a diventare rifugiati altrove, piuttosto che cercare di attirare manovalanza a basso costo tramite accordi sul filo del diritto internazionale.
Dal punto di vista della comunità internazionale le condanne dell’accordo Londra-Kigali sono state quasi unanimi: dalle Nazioni Unite, e le sue agenzie competenti come l’UNHCR, all’Unione Europea, passando per centinaia di gruppi e organizzazioni per i diritti umani internazionali, britanniche e anche africane. Ma siamo sicuri che chi oggi critica Londra e Kigali sia esente da critiche?
La realtà, come sempre, è più complessa e ha radici più profonde.
“A volte gioco a calcio e la sera bevo perché non ho niente da fare” ha detto Faisal all’Associated press a metà giugno. Faisal è un 20enne etiope trasferito in Ruanda dalla Libia nel 2019 nel primo gruppo di rifugiati reinsediati nell’ambito di un accordo con le Nazioni Unite: “Prego ogni giorno Dio di lasciare questo posto” dove è arrivato quasi 3 anni fa.
Il 10 settembre 2019, due anni e mezzo prima dell’accordo Londra-Kigali, l’Unione Africana, il governo di Kigali e l’UNHCR hanno firmato un protocollo d’intesa per istituire un meccanismo di transito di emergenza (ETM) per l’evacuazione di rifugiati e richiedenti asilo dalla Libia. In quei mesi il maresciallo Haftar, l’uomo forte di Tobruk, stava ingaggiando battaglia con le forze tripolitane alla periferia della capitale libica ed era più che concreto il rischio che la situazione, già problematica, degenerasse e mettesse a serio rischio l’incolumità dei migranti intrappolati in Libia.
Già due anni prima Paul Kagame aveva teso la mano del Ruanda, proponendo a Unione Africana, Unione Europea e Nazioni Unite di istituire una task force congiunta per salvare e proteggere la vita dei rifugiati lungo le più trafficate rotte migratorie. In particolare, in Libia. Il Ruanda li avrebbe accolti in attesa della possibilità di trasferirli in Paesi terzi in un meccanismo di cooperazione umanitaria internazionale ma non è andata benissimo, nonostante ci fossero di mezzo le agenzie umanitarie delle Nazioni Unite.
Il governo ruandese istituì il Gashora Transit Center in una zona rurale appena fuori dalla capitale ruandese, dove centinaia di migranti evacuati dalla Libia sono stati trasferiti grazie a voli umanitari: dal 2019 oltre 600 rifugiati sono stati reinsediati in paesi terzi mentre altrettanti sono rimasti bloccati in Ruanda. Tuttavia, nessuno di loro ha chiesto il soggiorno permanente nel Paese africano ma le Nazioni Unite sembra non si siano interrogate sul perché. “Non tornerò in Sudan e non rimarrò qui per tutta la vita. Preferirei tornare indietro”, in Libia, “per provare ad attraversare il mare” ha detto all’AFP il sudanese Ismail Banaga, 33 anni: “È passato un anno in Ruanda e non sono sicuro se avrò asilo o meno. Se si scopre che mi hanno abbandonato, tornare in Libia è più misericordioso che rimanere qui sotto questa umiliazione”.
La trappola in cui si sono trovati i migranti evacuati dalla Libia è labirintica: fuggiti dalla Libia in Ruanda, da Kigali molti hanno provato a chiedere asilo in Canada, Paesi Bassi, Francia, Regno Unito, attendendo anni prima di ricevere una risposta e, spesso, senza nemmeno riceverla. Il punto di caduta, la solidarietà e l’accoglienza dei paesi più ricchi, non si è mai verificato.
Oggi il Ruanda ospita già oltre 130.000 rifugiati e migranti provenienti da altre nazioni e paesi, anche non-africani come il Pakistan.
Foto di apertura: Nyalada Gatkouth Jany, richiedente asilo sud-sudanese, siede con il suo bambino di un anno. Ha tentato di attraversare il Mar Mediterraneo quattro volte ed è andata in prigione in Libia, è stata portata al Gashora Emergency Transit Center in Ruanda, in attesa di trasferirsi in Finlandia. Il centro di transito ha ospitato 1055 richiedenti asilo evacuati dalla Libia. Finora, 628 sono state ricollocate in paesi occidentali come Norvegia, Canada o Francia con lo status di rifugiato, 457 sono attualmente nel campo. (Simon Wohlfahrt / AFP)