a cura di GRT – Gruppo per le Relazioni Transculturali
Un somalo incatenato dai famigliari per deliri e rabbia incontrollata ha avviato un percorso di recupero che sfida la visione locale della malattia mentale come irreversibile. La sua storia illustra il potenziale della psicoterapia transculturale – promossa dalla ong italiana GRT – che considera l’individuo nel suo contesto culturale, favorendone il reinserimento sociale
Colaad arriva al reparto di salute mentale dell’ospedale pubblico di Bosaso, Somalia, accompagnato dal padre e due fratelli. Il caos nel cortile dell’ospedale è palpabile: un incessante vociare e un continuo viavai di persone. L’arrivo del gruppo, che solleva un gran polverone, non passa inosservato. Colaad è incatenato sia alle braccia che alle gambe, e viene trascinato mentre si dimena con forza, tra urla, sudore e il tintinnio delle catene. La situazione appare fuori controllo. Come da prassi, il colloquio si svolge con la famiglia e lo staff, e le catene devono essere rimosse, causando ulteriore tensione tra i parenti, convinti che Colaad reagirà in modo violento. Tuttavia, le catene devono essere sbloccate proprio dai familiari, gli stessi che le avevano chiuse. Contrariamente alle aspettative, una volta rimosse, nulla accade, lasciando tutti sorpresi da un silenzio irreale, che permette di dissipare la tensione e iniziare il colloquio.
Nessuno ha dubbi sulla diagnosi: Colaad, con deliri persecutori e una rabbia incontrollabile, è considerato un “waalan”, un folle grave e incurabile. La sua malattia è percepita come irreversibile, una condizione destinata a cambiarlo per sempre. Un proverbio somalo riflette questa convinzione: “un osso rotto non può tornare a posto”. Questo proverbio riflette una concezione secondo cui la malattia mentale è irreversibile, ma anche il ruolo cruciale delle relazioni sociali all’interno del sistema di appartenenza clanico. Non è un caso che la radice della parola osso in somalo possa essere usata come radice per parole che rimandano al sé, a noi stessi. In altri termini la metafora dell’osso in realtà rimanda subito alle relazioni sociali, al clan di appartenenza, a me, a noi, a loro. Nel complesso sistema sociale somalo le relazioni umane sono scandite da obblighi di reciprocità e responsabilità tra gruppi (familiari, clanici e così via). Avere un problema grave di salute mentale ti esclude da questo mondo relegandoti ai margini della vita sociale. È il famoso osso rotto che non può tornare a posto. Coolad lo sa bene e “l’osso rotto” per lui è una preoccupazione seria, perché teme, ad esempio, che non riuscirà a sposarsi.
Tuttavia, il percorso di Colaad ribalta questa concezione. Grazie a un intervento integrato, che ha coinvolto non solo il trattamento psichiatrico ma anche un’attenzione particolare alla dimensione educativa e relazionale, Colaad ha iniziato un processo di recupero che ha portato a un cambiamento significativo. Dopo aver aperto una bancarella, ha progressivamente riacquistato un ruolo attivo all’interno della famiglia e della comunità. Questo processo non ha riguardato solo lui, ma anche le persone intorno a lui, che hanno cambiato il modo di relazionarvisi, favorendo il suo reinserimento sociale. La sua storia, narrata anche alla radio e televisione locale, ha mostrato come la malattia mentale non debba necessariamente essere vista come un destino immutabile.
Il caso di Colaad illustra perfettamente l’approccio della psicoterapia transculturale promossa da GRT. La Scuola di Specializzazione post laurea in Psicoterapia Transculturale, la prima nata in Italia con il riconoscimento del MIUR nel 2001, si fonda sull’idea che l’individuo non possa essere separato dal contesto culturale in cui vive. Ogni persona si sviluppa infatti all’interno di un sistema di relazioni, valori e strutture sociali che formano il nucleo profondo del sé. La psicoterapia transculturale non si limita dunque a una visione unitaria e rigida dell’individuo, ma considera il sé come multiplo e sfaccettato, in interazione dinamica con una cultura anch’essa in continua evoluzione.
Il lavoro clinico condotto all’estero costringe il terapeuta a decentrarsi e a rivedere continuamente i propri presupposti. In questi contesti, il clinico diventa “l’altro” e impara a confrontarsi con sistemi culturali differenti, in cui la malattia e la cura sono interpretate in modi spesso radicalmente diversi rispetto alla propria cultura di appartenenza. Questo decentramento è un esercizio fondamentale per il clinico, sia che operi all’estero sia che lavori nel proprio Paese, perché permette di sviluppare una sensibilità e una comprensione più profonda delle dinamiche culturali che influenzano il processo terapeutico.
L’esperienza all’estero, con la complessità dei casi clinici incontrati e le sfide culturali che si presentano, rappresenta quindi una risorsa preziosa per arricchire la formazione dei futuri psicoterapeuti. I terapeuti formati dalla Scuola di Psicoterapia Transculturale acquisiscono una competenza che va oltre la semplice conoscenza tecnica, sviluppando una vera e propria apertura non solo mentale ma anche culturale, fondamentale per lavorare efficacemente sia con persone della propria cultura sia con quelle provenienti da culture diverse.
Dal punto di vista didattico, la formazione dei terapeuti transculturali include una vasta gamma di discipline: dalla psichiatria all’etnografia, dalla sociologia alle tecniche psicoterapeutiche, fino alla geofilosofia e all’antropologia medica. Questo approccio interdisciplinare è necessario per comprendere e trattare la complessità del sé, che non può più essere visto in modo unitario e stabile, ma come un’entità multipla e in costante evoluzione, proprio come le culture con cui interagisce.
Il contesto attuale, caratterizzato da una crescente frammentazione e contaminazione culturale dovuta ai processi di globalizzazione e ai flussi migratori, rende ancora più urgente affrontare la questione del rapporto tra individuo e cultura nel campo della psicoterapia. La Scuola di Psicoterapia Transculturale, attraverso il suo programma formativo, offre agli specializzandi la possibilità di sviluppare una sensibilità culturale che permetta loro di affrontare le complessità legate all’identità, ai ruoli e ai valori nelle società contemporanee, siano esse più modernizzate o tradizionali.
Un altro elemento chiave della formazione transculturale riguarda l’importanza della cultura extra-somatica, cioè tutti quegli elementi culturali, come gli artefatti, la memoria storica e le istituzioni sociali, che influenzano profondamente il sé, ma che si trovano al di fuori del corpo e della psiche individuale. Comprendere questi aspetti permette al terapeuta di affrontare efficacemente le sfide della psicoterapia contemporanea, in cui la relazione tra individuo e cultura occupa un posto centrale.
Per conoscere la nostra Scuola di Psicoterapia Transculturale, le date degli open day e le borse di studio messe a disposizione in memoria della fondatrice di GRT, la prof.ssa Rosalba Terranova, visita il sito della scuola www.scuolatransculturale.it oppure scrivici ai contatti nel box.
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