Serve una rapida risoluzione della spinosa vicenda dei rifiuti spediti in Tunisia nel 2020 da un’azienda italiana e che da più di un anno marciscono in centinaia di container in attesa di essere rinviati al mittente. Lo ha detto ad Africa Nidhal Attia, esponente della Rete Tunisia Verde, organizzazione di tutela ambientale che segue da vicino il dossier che coinvolge entrambi i Paesi mediterranei. “Non siamo soliti gettare fango sulle istituzioni, ma siamo arrivati a un punto in cui riteniamo necessario ottenere risposte. Serve maggiore trasparenza, da parte delle autorità tunisine, nella gestione del caso”, spiega Attia, in riferimento al comunicato nel quale la Rete deplora un atteggiamento “lassista” da parte dello Stato tunisino, che si accontenta di aspettare, senza iniziative diplomatiche, gli sviluppi della situazione dal punto di vista della giustizia italiana, e che finora non sono favorevoli alla Tunisia.
Una di queste procedure giudiziarie riguarda l’attivazione dell’assicurazione contrattuale, sollevata dalla Regione Campania, dove ha sede l’azienda speditrice, la Sviluppo Risorse Ambientali (Sra) di Polla, per coprire spese di rimpatrio, mentre l’altra riguarda la possibilità di un ricorso a un arbitraggio internazionale, in base all’articolo 20 della Convenzione di Basilea, cosa che allungherebbe ancora i tempi della vicenda. “In quanto tunisini, non vogliamo ritrovarci in una situazione simile, delicata, con un Paese amico come l’Italia. Ma non possiamo nemmeno stare fermi ad aspettare, mentre 212 container di rifiuti sono bloccati nel porto di Sousse, ostacolandone le normali attività”, sottolinea Attia. Circa altri 70 container sono bloccati presso gli impianti della società tunisina che aveva firmato il contratto con la società campana, la Soreplast.
Quello delle spese di mantenimento e stoccaggio dei rifiuti e del loro rinvio è sicuramente un punto di attrito, ma la vicenda in sé solleva questioni ben più grandi, che hanno a che vedere con il traffico dei rifiuti in generale e con la corruzione. “Una cosa è certa: una volta che questo caso sarà risolto, occorrerà rivedere la nostra politica di gestione dei rifiuti”, ritiene l’esponente della Rete Tunisia Verde, ricordando che nel Paese nordafricano è molto scarsa la valorizzazione dei rifiuti, che continuano ad essere seppelliti, senza tentativi di recupero. Inoltre, sottolinea l’interlocutore di Africa, nonostante l’esistenza di trattati internazionali in materia, si notano regolarmente “tentazioni di violare le regole”, ma anche un “distaccamento” da parte di chi ha potere.
Il 16 giugno 2021, il ministro degli Esteri tunisino, Othman Jerandi, in visita a Roma, aveva sottolineato in un comunicato che “la questione dei rifiuti italiani importati sarà risolta e che c’è un consenso tra le autorità tunisine e italiane, per trovare una definitiva via d’uscita da questa vicenda”. Finora però, i rifiuti sono ancora fermi, sotto il sole cocente.
Nell’ambito di questo procedimento sono stati ascoltati dal giudice istruttore tunisino 26 imputati, di cui 6 sono in stato di detenzione, tra cui l’ex ministro dell’Ambiente Mustapha Laroui, mentre il titolare dell’azienda importatrice di rifiuti è al momento latitante.
Da un’ispezione dell’ufficio doganale di Sousse di luglio 2020 è risultato che i container inviati dalle coste campane non contenevano rifiuti di plastica, come annunciato, ma scarti di ogni tipo che proverrebbero dalla raccolta differenziata domestica e non sarebbero destinati al recupero bensì allo smaltimento in discarica o all’incenerimento. La Sra, che sostiene che l’operazione di esportazione si è fatta con tutte le autorizzazioni preventive in regola, anche da parte della stessa regione Campania, deplora di aver visto il proprio nome infangato e si dichiara innocente. Secondo la Convenzione di Basilea non sono autorizzate le esportazioni di rifiuti se il Paese ricevente non è in grado di gestire tali rifiuti in maniera ecologicamente responsabile, come nel caso della Tunisia, spiega ancora Attia.
Italia e Tunisia concordano sulla necessità di rimpatriare i container e segue da vicino la vicenda anche la Commissione europea, interessata da un’interrogazione presentata dagli eurodeputati Greens/Efa Piernicola Pedicini ed Eleonora Evi, secondo la testata Greenreport. Ora ci sarebbe una controversia su chi paga il rimpatrio e il sequestro preventivo nel porto di Sousse che, secondo lo stesso sito, costa 26.000 euro al giorno.
Secondo IrpiMedia, di Investigative Reporting Project Italy, in Italia hanno cominciato a indagare due Direzioni distrettuali antimafia, quella di Salerno, porto dal quale sono partiti i rifiuti italiani, e quella di Potenza competente per il distretto dove ha sede la società campana. Il perimetro delle persone coinvolte si allargherebbe a una ditta calabrese con interessi che portano fino in Bulgaria, e “una sorta di facilitatore dell’affare tra Italia e Tunisia”, scrive la testata.