di Marco Trovato – direttore editoriale della rivista Africa
Contrariamente a un’idea diffusa, l’Africa non è mai stata isolata, ma sempre connessa al resto del mondo. Per lungo tempo, però, il flusso di notizie è stato unidirezionale: dal Nord al Sud del mondo. L’Occidente informava, l’Africa si informava. Oggi le cose sono cambiate.
Trent’anni fa, durante un viaggio in una zona remota del Kenya, arrivai in un villaggio di pastori samburu. Stranamente, le capanne erano deserte, immerse in un silenzio irreale. Solo dopo qualche istante mi accorsi che l’intera comunità si era radunata sotto un grande albero poco fuori dall’abitato. Uomini, donne e bambini sedevano immobili, assorti in un religioso silenzio attorno a una vecchia radio gracchiante: stavano ascoltando con attenzione il notiziario della BBC. Negli anni successivi mi è capitato più volte di assistere a scene simili, in villaggi diversi e con emittenti diverse: Radio France Internationale, Radio Vaticana… Qualunque fosse la fonte, il desiderio era lo stesso. Perché, contrariamente a un’idea diffusa, l’Africa non è mai stata isolata, ma sempre connessa al resto del mondo. I suoi abitanti hanno da sempre cercato di informarsi sulle vicende globali: spesso, hanno dimostrato di conoscerci molto meglio di quanto noi conoscessimo loro.
Per lungo tempo, però, il flusso di notizie è stato unidirezionale: dal Nord al Sud del mondo. L’Occidente informava, l’Africa si informava. Oggi le cose sono cambiate. I figli di questo continente stringono in mano i cellulari, strumenti che li hanno resi non solo fruitori di notizie, ma anche narratori della propria realtà e protagonisti della storia che il mondo intero dovrebbe imparare ad ascoltare. Ne resterebbe meravigliato, come spesso capita a me. Durante un recente viaggio a Mogadiscio, mentre scattavo delle foto tra le macerie della capitale somala, mi si è avvicinato un ragazzino di strada. Era scalzo, la maglietta ridotta a brandelli, lo sguardo timido e curioso al tempo stesso. Stringeva tra le mani un vassoio colmo di arachidi tostate, che vendeva per sopravvivere. Avrei voluto comprargliene un pacchetto, ma non avevo con me neanche una moneta. Imbarazzato, ho provato a spiegarmi a gesti. Lui mi ha osservato per un attimo, poi il suo viso si è illuminato in un sorriso inaspettato. Con naturalezza, ha infilato una mano nei suoi pantaloni sdruciti e ne ha tirato fuori un vecchio telefonino, malridotto ma perfettamente funzionante. A quel punto ho preso il mio smartphone, ho aperto un’app locale per i pagamenti digitali e, con un clic, gli ho inviato quanto dovuto, per la soddisfazione di entrambi.

È stata l’ennesima conferma di come le transazioni via cellulare siano ormai parte integrante della quotidianità per decine di milioni di africani, diffuse a ogni livello della società, persino tra i più poveri e vulnerabili. E non si tratta affatto di una novità. A Nairobi e a Kampala, per esempio, i telefoni vengono usati come portafogli e bancomat già da quasi vent’anni. Il servizio di trasferimento di denaro M-Pesa (dall’unione di “Mobile” e Pesa, che in swahili significa denaro), diffusissimo in Africa, è nato nel 2007, molto prima che tecnologie simili approdassero da noi. Oggi, in tutto il continente, esistono innumerevoli app che permettono di custodire, inviare e ricevere denaro con una facilità straordinaria. Ma l’innovazione digitale in Africa non si ferma all’economia e alla microfinanza. A sud del Sahara, soluzioni tecnologiche stanno trasformando settori cruciali come l’agricoltura, la sanità, la mobilità e l’educazione. Ne fioriscono in continuazione con una rapidità impressionante.
Nel servizio di copertina del nuovo numero della rivista Africa raccontiamo alcune delle start-up più virtuose, realtà che, pur disponendo di risorse limitate, riescono a rispondere alle esigenze specifiche del continente, spesso superando per creatività e impatto sociale i modelli importati dall’Occidente. Sbagliamo se pensiamo che il futuro dell’innovazione sia esclusiva dei colossi hi-tech della Silicon Valley o dell’Asia. L’Africa, il continente più giovane del pianeta (età media: 19 anni), è una fucina di talento e iniziativa. I suoi giovani non sono spettatori passivi della rivoluzione digitale: vogliono esserne protagonisti. Hanno ingegno, determinazione e un’instancabile voglia di emergere. E oggi, grazie ai telefoni cellulari, sanno di avere finalmente il proprio destino nelle mani.