Nel Lesotho, piccolo regno senza sbocco sul mare circondato dal Sudafrica, si sta consumando un dramma silenzioso. Con l’incredibile cifra di 87,5 suicidi ogni 100.000 persone, il Paese detiene un triste titolo: il più alto tasso di suicidi al mondo. Ma i numeri sfiorano solo la superficie di una questione complessa radicata nella povertà, nella disoccupazione e in un profondo stigma culturale nei confronti del dibattito sulla salute mentale.
“Nella nostra cultura – spiega al sito bnnbreaking.com, Lisema Pinyane, una ragazza del Lesotho che ha avuto problemi mentali -, esprimere sentimenti di tristezza o disperazione significa mostrare debolezza”. Questo stigma costituisce una barriera colossale alla ricerca di aiuto, lasciando molti a soffrire in silenzio. Il calo delle opportunità di lavoro, soprattutto nelle miniere sudafricane – tradizionale fonte di reddito – ha intensificato le pressioni sugli uomini affinché provvedano alle proprie famiglie, esacerbando la crisi di salute mentale”.
Il tabù che circonda le discussioni sulla salute mentale ha portato a preferire i guaritori tradizionali rispetto al supporto psicologico professionale. Sebbene questi guaritori svolgano un ruolo significativo nella comunità, i loro metodi spesso non affrontano le questioni di fondo che contribuiscono a pensieri e azioni suicide. Nonostante il disperato bisogno, la consapevolezza della salute mentale rimane pericolosamente bassa, lasciando molti senza le conoscenze o le risorse per cercare un aiuto adeguato. La storia del Lesotho è un forte promemoria di come le norme culturali possano modellare e allo stesso tempo ostacolare il percorso verso la guarigione.
Di fronte a queste sfide enormi, si iniziano a vedere reazioni. I gruppi di sostegno comunitario e una consapevolezza in lenta crescita sui problemi di salute mentale offrono un faro a coloro che, come Pinyane, stanno lottando per superare le aspettative della società. “Trovare altri che capissero e condividessero la mia lotta è stato un punto di svolta”, ammette Pinyane. La sua storia è una testimonianza del potere della comunità nell’affrontare lo stigma della salute mentale.