di Tommaso Meo
In Zimbabwe, Sam Ndlovu lotta per il pieno riconoscimento dei diritti di omosessuali e transessuali. «Veniamo ripudiati persino dalle nostre famiglie. In giro ci trattano da appestati. La prima battaglia da vincere è contro la paura. Malgrado il clima culturale avverso, ognuno deve imparare ad accettarsi nella propria diversità, senza timori né vergogna»
«Anche una sola persona ha il potere di cambiare le cose, di migliorarle. Per questo dobbiamo avere tutti il coraggio di sognare il più in grande possibile». È questo il messaggio di speranza che lancia ai giovani Sam Ndlovu, attivista transessuale e artista hip hop dello Zimbabwe, e si capisce subito che parla forte della sua esperienza complicata. E infatti, confidandosi con la nostra rivista, aggiunge: «Metà delle esperienze che faccio ora non le avrei mai ritenute possibili».
Ndlovu, 38 anni, ha portato la sua testimonianza anche in Italia lo scorso autunno. Grazie alla ong Cospe con cui collabora, ha partecipato a un evento sull’attivismo queer in Africa all’interno del Festival della rivista Internazionale a Ferrara, ed è poi stato ospite al Terra di Tutti Film Festival di Bologna.
L’attivista zimbabwano è direttore esecutivo del Treat (Trans Research Education Advocacy and Training) e vicepresidente del Southern African Trans Forum, un’organizzazione che lotta contro le ingiustizie e le discriminazioni subite dalle persone trans e di genere non binario in vari Paesi dell’Africa australe. Insieme a Cospe, il Treat promuove Out&Proud, di cui Ndlovu è responsabile. Si tratta di un progetto cofinanziato dall’Unione Europea, che propone diverse attività per rafforzare le capacità e offrire opportunità alle persone Lgbtq e alle loro organizzazioni in Malawi, Eswatini e Zimbabwe di difendere e promuovere i loro diritti. «Per noi il principale obiettivo è quello di far vivere alle persone trans e gender-diverse una vita piena», spiega Ndlovu.
«Peggio dei maiali»
In Zimbabwe, come nei Paesi vicini, la situazione per le persone trans e non binarie è ancora complicata, soprattutto sotto il profilo dell’emarginazione socio-economica, racconta il presidente di Treat. «So che lo Zimbabwe è stato per molti anni famoso per le parole dell’ex presidente Robert Mugabe, quando disse che le persone Lgbtq sono peggio dei maiali e dei cani. Da allora le cose sono cambiate, perché l’attuale governo non si esprime apertamente contro la nostra comunità, ma c’è ancora tanto da fare perché queste persone possano ottenere migliori condizioni di vita e trovare il loro posto nella società». Le incertezze finanziarie provocate dall’esclusione sociale sono uno dei problemi maggiori per le comunità Lgbtq in Africa australe. «Vogliamo invece avere una vita normale e soddisfacente. Dobbiamo poterci candidare alle elezioni, guidare grandi aziende o fare gli agricoltori, mettere su famiglia».
Della sua storia personale dice: «È stato un lungo viaggio per essere me stesso». Dopo un arresto e numerosi episodi di discriminazione da adolescente, Ndlovu solo all’università si iscrive alla prima organizzazione e promuove la partecipazione degli studenti di legge alle reti queer. «All’inizio, la cosa buffa è che non volevo essere chiamato trans perché la gente diceva che sono persone mentalmente disturbate», dice. Poi, però, per fare l’attivista ha lasciato un’avviata carriera nella musica. Adesso dei concerti sente la mancanza, ma non rimpiange nulla, anche se non può cambiare ancora ufficialmente il suo nome sui documenti.
Nemmeno i rapporti con la famiglia e gli affetti sono facili, racconta. Alcuni parenti lo hanno sostenuto e per questo hanno dovuto sopportare il suo stesso stigma. Anche nell’intimità, poi, ci può essere diffidenza verso un uomo trans, confessa. Le difficoltà non lo hanno però mai scoraggiato: nel suo lavoro – che è anche la sua battaglia – e nella vita. «A volte», ricorda, «devi “solo” creare il tuo spazio per cercare di raggiungere i tuoi sogni».