Cinque anni fa moriva Muammar Gheddafi. Dopo la caduta di Tripoli e Bengasi aveva cercato scampo nella sua regione natia ma, scoperto mentre fuggiva, è stato prima linciato e poi brutalmente ucciso. Il suo volto coperto di sangue ha fatto il giro del mondo e ha segnato la fine di un regime che, mescolando spietatezza e ripartizione delle risorse derivate dal petrolio, aveva tenuto insieme un Paese estremamente frazionato.
Da allora la Libia non ha più avuto pace. La Cirenaica (la regione orientale) e la Tripolitania (quella occidentale) sembrano irrimediabilmente divise. A Est, il governo di Bengasi, il cui uomo forte è Khalifa Haftar, si propone come un baluardo contro il dilagare dell’Islam politico ed è sostenuto, più o meno apertamente, da Egitto, Russia, Francia. A Ovest, a un governo legato alla Fratellanza musulmana è succeduto un esecutivo di unità nazionale retto da Fayez al Sarraj e sostenuto da Nazioni Unite, Italia (ex potenza coloniale) e Stati Uniti. Ma si tratta di una compagine debolissima che controlla poche zone del Paese ed è in balia del sostegno delle varie milizie ancora attive sul territorio. Nel frattempo, il Fezzan, la regione più meridionale della Libia, si sta trasformando in un’area incontrollabile, regno di bande di criminali (dedite al traffico di droga e esseri umani) e di gruppi legati al fondamentalismo islamico.
In questo contesto, la popolazione soffre nel vivere in uno Stato in cui domina ancora la violenza e la politica non riesce a trovare vie d’usita. «Viviamo in un momento peggiore peggio di quello precedente in cui governava Gheddafi, la Libia è in via di estinzione», dichiara un libico al sito www.africanews.com un residente. «Quando il regime di Gheddafi è caduto – osserva un altro tripolino -, abbiamo sperato che, con la volontà di Dio, le cose sarebbero migliorate. Ci aspettiamo molto dal nostro Paese. Speriamo che coloro che amano la Libia si uniscano e si riconcilino, per creare un unico governo nazionale. È l’unico modo per ricostruire il Paese».
Intanto sul terreno continua anche la sfida allo Stato islamico. Nell’anarchia del Paese era infatti riuscito a crearsi una base a Sirte raccogliendo e rispondendo al malcontento dei giovani e degli ex sostenitori di Gheddafi. L’offensiva di alcune milizie legate al governo di Tripoli e l’avanzata dell’esercito di Haftar sembravano aver messo alle corde i jihadisti e pareva che la caduta di Sirte da loro controllata fosse imminente. In realtà, i combattimenti continuano da settimane e la città sembra inespugnabile. Un altro motivo di preoccupazione per i libici e per la comunità internazionale.