di Céline Camoin
La Tunisia si sta orientando verso alleanze considerate meno tradizionali, in direzione di nuovi partner strategici come l’Iran, la Cina e la Russia. Una ridefinizione della politica estera che potrebbe non essere esente da rischi.
La recente notizia della probabile costituzione di una commissione economica congiunta tra Tunisia e Iran ha suscitato riflessioni, in Tunisia, sulla svolta diplomatica del regime di Kais Saied verso nuovi partner strategici come l’Iran, la Cina e la Russia. “Questa scelta, che ha suscitato reazioni contrastanti nella società civile e nella classe politica, solleva la questione dei problemi e dei rischi per la sovranità nazionale e gli equilibri regionali”, scrive Maya Bouallegui sul sito Businessnews Tunisia.
Storicamente legata ai Paesi europei e agli Stati Uniti, la diplomazia tunisina si sta orientando verso alleanze considerate meno tradizionali. Questa nuova direzione è stata illustrata dal rafforzamento dei contatti diplomatici con potenze come la Cina, la Russia e, più di recente, l’Iran.
“Questo cambio di direzione non è passato inosservato. Il 30 gennaio e il 6 febbraio 2025, il membro della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti Joe Wilson ha chiesto pubblicamente l’eliminazione degli aiuti militari statunitensi alla Tunisia. Ha denunciato l’evoluzione autoritaria del regime tunisino e i suoi avvicinamenti a regimi considerati antidemocratici. Ha insistito sul fatto che il presidente tunisino aveva instaurato ‘una dittatura’ e si era alleato con regimi autoritari. Per Wilson, Kais Saied ha trasformato la Tunisia in uno Stato di polizia, allontanandosi dai valori democratici della Primavera araba”, si legge.
Pochi giorni dopo queste dichiarazioni, sabato 8 febbraio, una telefonata tra il ministro degli Esteri tunisino, Mohamed Ali Nafti, e il suo omologo iraniano, Abbas Araghchi, ha confermato la volontà di rafforzare i legami tra Tunisi e Teheran. Ufficialmente, l’incontro avrebbe dovuto discutere delle relazioni bilaterali e degli sviluppi regionali, tra cui la situazione a Gaza. Tuttavia, questa dinamica rientra in una strategia più ampia di diversificazione delle alleanze. Il culmine di questo riavvicinamento si è avuto durante la settimana culturale tunisino-iraniana, organizzata a Ennejma Ezzahra. La presenza di Ansieh Khazali, ex vicepresidente iraniana per gli affari femminili, ha scatenato accese polemiche. Nota per le sue posizioni conservatrici e repressive sui diritti delle donne, la sua partecipazione è stata vista come una provocazione da molti attivisti e accademici tunisini.
Saied, sostiene l’autrice, non ha mai nascosto la sua inclinazione per la dittatura sciita. Si è recato a Teheran lo scorso maggio per presentare ufficialmente le sue condoglianze per la scomparsa del suo omologo iraniano, Ebrahim Raïssi. Era accompagnato dal ministro degli Affari Esteri.
“Tutta questa dinamica politica e diplomatica dà una parvenza di credito alle molteplici voci (mai provate) diffuse dagli islamisti tunisini su una particolare e dubbia vicinanza tra Kais Saied e suo fratello Naoufel da una parte e il regime iraniano dall’altra”, afferma Maya Bouallegui.
Di fronte a questi sviluppi, la reazione della classe politica tunisina è stata “sorprendentemente timida. Soltanto Mohsen Marzouk, ex presidente del partito Machrouû, ha pubblicato lunedì 10 febbraio una lettera aperta al presidente della Repubblica. Ha espresso preoccupazione per le conseguenze di questo riavvicinamento con l’Iran, insistendo sull’attaccamento della Tunisia a uno Stato civile, incompatibile con il modello teocratico iraniano”. Nella sua lettera, Marzouk afferma: “Il popolo iraniano non è il nostro nemico. Tuttavia, rifiutiamo l’ideologia dello Stato religioso che governa la vita dei suoi cittadini a scapito delle libertà individuali. La Tunisia è stata fondata sui principi della laicità e dello status civile. Associare il nostro Paese a un modello teocratico rischia di minare le fondamenta della nostra società.”
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Inoltre, la deputata Fatma Mseddi, fervente sostenitrice del regime di Saied, ha espresso il suo malcontento tramite un post su Facebook. Ha preso in giro la situazione suggerendo che l’Iran dovrebbe ospitare una conferenza in cui le donne tunisine potrebbero parlare dei loro diritti e dell’importanza del Codice dello statuto personale tunisino.
Lunedì mattina, è circolata una petizione intitolata “No alla diffusione della propaganda politica nelle attività culturali”, che ha raccolto le firme di personalità influenti della società civile tunisina. Tra i firmatari figurano rinomati accademici come Raja Ben Slama, Emna Remili e Salwa Charfi, giornalisti come Monia Arfaoui e Asma Sahboun, l’eminente psicoanalista Fethi Ben Slama, la scrittrice Khayra Chebbi e attivisti per i diritti umani come Amira Saadi. Questa petizione denuncia il tentativo di banalizzare le pratiche repressive iraniane sotto l’egida della cooperazione culturale e chiede vigilanza di fronte all’influenza dei regimi teocratici sul modello sociale tunisino.
Questo riavvicinamento con l’Iran si inserisce in una logica di diversificazione dei partenariati strategici, in linea con le alleanze sempre più affermate con Russia e Cina. Tuttavia, questa ridefinizione della politica estera tunisina non è esente da rischi, ritiene l’autrice della riflessione. Sul fronte economico, il progressivo abbandono dei partner europei potrebbe indebolire settori chiave dell’economia tunisina, già in crisi. Da un punto di vista politico, l’allineamento con regimi autoritari potrebbe offuscare l’immagine della Tunisia sulla scena internazionale e accentuare il suo isolamento diplomatico.
“Il silenzio della maggior parte degli attori politici di fronte a questi cambiamenti suggerisce una forma di tacita accettazione o di impotenza. Tuttavia, la posta in gioco è cruciale: non si tratta solo del posto della Tunisia nel mondo, ma anche della difesa dei valori che hanno fondato lo Stato tunisino moderno e la sua transizione democratica”, conclude Maya Bouallegui.
Kais Saied è arrivato al potere nel 2019 come candidato indipendente e laico. L’Islam non è iscritta come religione di Stato nella nuova costituzione che ha fatto approvare.