Secondo i dati diffusi nei giorni scorsi dal Consiglio turco per le relazioni economiche estere (Deik), nel 2023 le aziende turche hanno completato in Africa 1.864 progetti infrastrutturali, per un valore cumulativo di 85,4 miliardi di dollari: gli investimenti diretti turchi nel continente ammontano a 10 miliardi di dollari.
Anche il volume degli scambi tra la Turchia e l’Africa è aumentato, da 5,4 miliardi di dollari nel 2003 a quasi 41 miliardi di dollari nel 2022. Secondo le prime stime, questa cifra dovrebbe aver raggiunto i 50 miliardi di dollari nel 2023.
La Turchia ha utilizzato diversi canali per aumentare la propria presenza e influenza in Africa. In primo luogo ha rafforzato i suoi rapporti diplomatici con i Paesi del continente, a volte giocando sul tessuto della fraternità musulmana, a volte sul registro anticolonialista: oggi sono 44 le ambasciate turche in Africa e la Turchia è attualmente il quarto Paese più rappresentato diplomaticamente nel continente dopo Cina, Stati Uniti e Francia. Sono state inoltre organizzate tre edizioni del vertice economico Turchia-Africa e negli ultimi vent’anni si sono svolte quasi 40 visite ufficiali di alti funzionari turchi in vari Paesi africani.
La presenza turca in Africa è anche militare: l’esercito turco fornisce addestramento ad alcune forze di sicurezza africane, come nel caso della Libia e della Somalia: a Mogadiscio la Turchia ha costruito un centro di addestramento militare per addestrare l’esercito somalo nella lotta contro il gruppo Al-Shabaab e Ankara è anche un importante esportatore di armi, in particolare con i famosi droni Bayraktar Tb2 e i veicoli blindati Kirpi.
Inoltre, la Turchia utilizza strumenti di soft power, come molte altre potenze, nei suoi rapporti con l’Africa: la Fondazione Maarif, che dipende dallo Stato, ha aperto quasi 180 scuole in una trentina di Paesi africani e centinaia di studenti africani vengono incoraggiati, ogni anno, attraverso l’assegnazione di borse di studio, a proseguire gli studi nelle università turche.