“La parte di popolazione che è a favore di Kenyatta ha accolto la decisione del tribunale con gioia: il titolo del quotidiano ‘Daily Nation’, sabato, era “Free at last” [“Finalmente libero”, ndr]”. A spiegarlo alla MISNA è padre Stefano Giudici, missionario comboniano a Nairobi, commentando la decisione della procura della Corte penale internazionale (Cpi/Icc) di rinunciare al processo nei confronti del presidente della repubblica Uhuru Kenyatta, vista l’impossibilità di raccogliere prove definitive.
Kenyatta era accusato di essere tra gli istigatori delle violenze seguite alle elezioni del 2007, che provocarono almeno 1000 morti e 600.000 sfollati. Nonostante le implicazioni del processo non ci sono state reazioni di rilievo da parte dell’opposizione: “Si aspettavano questa decisione – nota ancora padre Giudici – perché sapevano che il processo non aveva più possibilità di andare avanti”. L’annuncio dato dalla procuratrice della Cpi Fatou Bensouda, tuttavia, potrebbe avere in ogni caso ripercussioni politiche. Il problema, continua infatti il missionario, “adesso è William Ruto, il vicepresidente, che resta sotto accusa” e che secondo alcuni “potrebbe anche essere abbandonato al suo destino”.
Ruto è accusato di aver spinto i suoi seguaci ad attaccare proprio quelli di Kenyatta, allora suo avversario e la successiva alleanza tra i due leader, alla vigilia delle ultime elezioni era considerata da molti una mossa strumentale. Sulla possibilità che Kenyatta si allontani dal suo vice padre Giudici resta però scettico: “Significherebbe perdere l’appoggio dei kalenjin”, popolazione a cui Ruto appartiene, importante soprattutto nella zona della Rift Valley. Di certo, per ora “Kenyatta esce rafforzato” dalla vicenda.
Chi invece non vede cambiamenti della propria condizione all’orizzonte sono le migliaia di persone ancora nei campi per sfollati: “Non se ne parla più nell’opinione pubblica… tranne al momento delle promesse elettorali”, conclude il sacerdote. – Misna