Il Parlamento europeo fermi la commercializzazione dei minerali provenienti da zone di guerra. È quanto chiede la Focsiv, la federazione delle Ong cattoliche, rilanciando in Italia una campagna organizzata dal Cidse, il coordinamento di 17 organizzazioni cattoliche di Europa e Nord America. Quello dei «minerali insanguinati» è un tema particolarmente delicato che, in diverso modo, tocca tutti.
Secondo un rapporto Nielsen, infatti, il 97% degli italiani sopra i 16 anni utilizza un telefono cellulare, tanti quanti gli inglesi ma più degli americani (94%), dei cinesi (89%), dei brasiliani (84%) e degli indiani (81%). Penetrazione che raggiunge il 99% nel caso della Corea del Sud e il 98% in Russia. Il mondo della telefonia mobile è quindi un business mondiale non solo in termini di traffico telefonico, ma anche di hardware. E si tratta di un hardware sofisticato che impiega minerali preziosi e rari quali la cassiterite, il tantalio, la wolwolframite, il coltan. Questi minerali sono estratti in poche regioni al mondo, alcune delle quali in zone altamente instabili politicamente e militarmente. L’esempio più drammatico è quello della Repubblica democratica del Congo. Qui, nella regione del Kivu, da vent’anni la guerra sta impoverendo la popolazione, ma sta arricchendo alcuni grandi trafficanti che alimentano il conflitto proprio per mantenere saldo il controllo sulle miniere, sottraendole alla gestione dello Stato. A sua volta poi l’estrazione alimenta un commercio lucroso che, attraverso il contrabbando, arriva fino in Europa e nel Nord America.
Da anni ormai le Ong europee chiedono che venga adottata una normativa che, rendendo chiara la tracciabilità dei minerali, metta fine ai conflitti, agli interessi e alle violenze. A dicembre, in Italia, la Commissione Politiche dell’Ue del Senato ha approvato la proposta di regolamento dell’Unione europea sulla tracciabilità dei minerali provenienti da zone di guerra. Questo testo riconosce la necessità di una certificazione della catena di approvvigionamento dei minerali provenienti dalle zone di conflitto, di includere anche altre tipologie di risorse naturali e di estendere il campo di applicazione alle imprese che commercializzano i prodotti finiti.
A livello continentale però la Commissione europea ha varato un testo nel quale il meccanismo di identificazione è volontario e limitato alle imprese importatrici. Questa normativa sarà discussa la prossima settimana in Commissione commercio e a metà aprile in sessione plenaria. La formulazione però è troppo debole e non convince le Ong. Da qui la richiesta da parte della Focsiv di fare pressioni sui parlamentari europei affinché rendano più vincolante la legge. Chi è interessato ad approfondire il tema può cliccare qui.