di Annamaria Gallone
Il Festival del Cinema a Venezia ha chiuso i battenti i giorni scorsi, ma i film presentati in anteprima sulla laguna li vedremo presto nelle sale. Oggi vi parliamo di due opere che hanno protagoniste due donne: “Carissa” di Devon Delmar e Jason Jacobs e “Aïcha”, del tunisino Mehdi Barsaoui.
Si è conclusa la 81° mostra d’arte cinematografica della Biennale di Venezia, ma vorrei ancora parlarvi di due film che hanno suscitato il mio interesse: entrambi hanno come protagoniste giovani donne.
Il primo è l’opera prima di due registi/sceneggiatori sudafricani, Devon Delmar e Jason Jacobs che hanno scelto di tracciare il ritratto di una ragazza, Carissa, e del suo viaggio interiore.
La protagonista vive insieme alla nonna nel contesto rurale di Wupperthal, sui monti Cederberg in Sudafrica. Ama trascorrere le sue giornate incollata al cellulare, beve, fuma e trascorre parte della notte in una taverna. Taverna. La nonna, tradizionalista e molto religiosa, è molto preoccupata, insiste perché la nipote non l’aiuta economicamente e non sembra avere grandi aspirazioni per il futuro. Le liti tra le due si susseguono senza sosta e l’anziana, nel tentativo di darle una prospettiva, cerca di indirizzarla verso un’azienda sta per rilevare la piantagione locale di tè per trasformarla in un resort di lusso con campo da golf e che offre opportunità di formazione per i giovani. Carissa finisce però coinvolta in un casino e dopo l’ennesimo litigio a casa decide di raggiungere suo nonno che, dopo anni di assenza, danneggiato dall’acquisizione della piantagione di tè nella quale lavora, propone alla nipote di trasferirsi da lui nelle montagne e lavorare nei campi prima della loro sparizione. In questa seconda parte della storia la protagonista recupera una attitudine bucolica, un piccolo mondo antico, insieme al piacere della contemplazione, dei piccoli gesti dal grande significato, finisce insomma in un percorso terapeutico naturale che segnerà una importante maturazione caratteriale. Carissa scoprirà presto che è proprio questa la formazione di cui ha bisogno.
Il film, infatti, è insieme uno spaccato di vita e una piccola parabola di crescita. Il viaggio di Carissa la porta ad abbracciare il sentiero che si ritrova a percorrere, sfuggendo a un modello di comportamento ciclico mentre scopre in sé una maturità e una consapevolezza che prima le mancavano.
La narrazione, la regia e l’utilizzo della macchina da presa utilizzano un linguaggio quasi documentaristico con una rappresentazione interessante e poetica di una comunità e del paesaggio. Una regia sensibile, intimistica e toccante per un film apparentemente modesto che in realtà ha molto da dire.
L’altro film è Aïcha, seconda opera del tunisino Mehdi Barsaoui.
Il regista ha studiato a Bologna, ma è nato a Tunisi, e il suo desiderio è quello di fare un cinema legato alla realtà, nel bene e nel male. Per questo film dice di essersi ispirato a una storia vera, anche se ne perdiamo le tracce in una vicenda sovraccarica di eventi.
La protagonista del suo film, interpretata con intensità da Fatma Sfarr, all’inizio si chiama Aia, è una giovane donna nata e cresciuta nella desertica Tozeur, che lavora fin da bambina per aiutare la sua famiglia. Costretta a rinunciare prestissimo alla scuola, lava in hotel di lusso le lenzuola di ricchi turisti ed è amante del proprietario, quasi un dovere obbligato. I genitori insistono perché si sposi presto, anche se non è innamorata del futuro sposo e la ragazza si sente soffocare in una vita senza futuro. Ma all’improvviso una possibilità di fuga le si presenta quando il minivan che prende ogni giorno per recarsi a lavoro rimane coinvolto in un incidente e lei sceglie la fuga, dopo che per sbaglio viene registrata come defunta.
Scappa alla volta di Tunisi, sperando nella possibilità di una vita nuova, cambia il proprio nome in Amira, che le sembra più scintillante e cerca di rifarsi l’imene per acquisire una nuova verginità. Qui si stabilisce come coinquilina di Lobna (Yasmine Dimassi), una studentessa di dottorato in scienze umanistiche, che le fa conoscere la vita notturna della città e una serie di uomini potenti con cui uscire. Una vita nuova, inebriante e spericolata. Malauguratamente viene però coinvolta in un grave caso di corruzione e di violenza della polizia e il suo sogno di libertà svanisce: è costretta a dichiarare il falso nella paura di poter essere incriminata per la sola colpa di aver frequentato una discoteca ed essere stata testimone di un assassinio, con una polizia che più che una sicurezza è una minaccia.
Alla fine del film, il suo nome è Aïcha, che in arabo significa “viva”. Una sceneggiatura che potrebbe essere definita eccessiva, ma è animata da una tale energia che rende il film molto coinvolgente.
Al tema della condizione femminile e della dolorosa emancipazione di Aïcha si affianca prepotente il tema la corruzione e la violenzadelle forze dell’ordine tunisine.
“È necessario morire, in Tunisia, per essere liberi?” si chiede il regista che si sofferma sulla situazione attuale nel suo Paese. E infatti continua: “Quattordici anni dopo la “rivoluzione dei gelsomini”, nata in Tunisia, la situazione è ancora complessa. Il percorso verso una democrazia totale è in atto, ci sono delle pause d’arresto, delle cadute, ma ci si rialza ogni volta. Sicuramente è complessa, ma positiva, come ricerca verso questo tipo di vita e di società, non sono in grado di dire quando raggiungeremo la totale democrazia, ma detto questo non c’è alcuna forma di censura in Tunisia, se c’è una libertà acquisita grazie alla rivoluzione della Primavera Araba, è proprio quella della libertà di espressione, che è garantita e protetta anche dallo Stato, ed effettivamente quello è un diritto acquisito enorme che permette a ciascuno di noi di denunciare, di criticare quello che può essere un abuso, una situazione non corretta al livello sociale”.
Il film ha vinto il premio come miglior film mediterraneo del Festival, attribuito dalla prestigiosa Accademia delle Belle Arti di Venezia e lo vedremo al cinema presumibilmente nella prima metà del 2025, distribuito da I Wonder Pictures.
Ve lo consiglio.
In copertina: una foto tratta dal film Aïcha, seconda opera del tunisino Mehdi Barsaoui.