All’estremo nord del Marocco, là dove si incontrano le acque del Mediterraneo e dell’Atlantico, le bianche vie di Tangeri sono vivaci crocevia di culture e popoli che da sempre ispirano artisti e viaggiatori. Ma da cui oggi in tanti vogliono fuggire.
La terraferma si fa sempre più vicina e dai finestrini del traghetto non si vede quasi più il mare, solo la vegetazione della costa. Nel salone i passeggeri si animano sulle poltrone, radunano i bagagli, li spingono verso le uscite. L’Europa è alle spalle, il Marocco ormai a un passo, di fronte allo scafo.
Porta d’ingresso… d’uscita
La sagoma di Tangeri diventa nitida con le geometrie dei palazzi moderni e le forme irregolari della medina. «Percorro questo tragitto da trent’anni, 2100 chilometri da casa mia», racconta Souad, marocchina che vive in Toscana. «Qui sullo Stretto si riuniscono i miei connazionali che rientrano al Paese per l’estate: da ogni parte d’Europa e persino dall’America. Questo è l’unico posto dove ci troviamo tutti insieme».
I passeggeri si riversano sulla banchina di questa città che è porta d’ingresso di un’intera nazione, ma anche porta d’uscita di un continente: da Tangeri e dallo Stretto di Gibilterra, dove l’Atlantico si precipita nel Mediterraneo, transitano in senso contrario, verso Nord, migranti e richiedenti asilo, quest’anno più numerosi che in passato. Nel corso del 2018 oltre 58mila persone hanno raggiunto di nascosto la Spagna via mare (nel 2017 erano state 22.100, l’anno precedente 8mila), facendo di questa rotta la più battuta, anche più di quelle libico-tunisina e balcanica. Chi passa di qui viene da Guinea, Mali, Costa d’Avorio e dallo stesso Marocco. Si tenta la traversata su mezzi di fortuna, canotti acquistati insieme ai compagni di viaggio, imbarcazioni piccole, canoe. La costa spagnola dista solo 14 chilometri (nel punto più stretto), ma le acque ingannano chi vi si avventura: correnti violente, venti insidiosi e una valle sottomarina profonda 600 metri.
Tra due mari
Tangeri si protende nel mezzo, tra due mari e due continenti. «È crocevia mondiale, magico, di musica, storia e di turisti», spiega con occhi vivaci da ragazzino, malgrado abbia 74 anni, Abdelmajid El Mouedden, fondatore dei “Fils du Détroit”, circolo di anziani musicisti tangerini. «Da 45 anni ci ritroviamo per suonare insieme», ci racconta nella piazza della casbah all’ingresso della sede del circolo, 15 metri quadri da cui, ogni giorno al tramonto, si diffondono melodie arabo-andaluse. Una testimonianza di prossimità non solo geografica, in cui violino, flauto, percussioni e oud perpetuano la vicinanza culturale tra Spagna e Tangeri.
«Questo Stretto era unificato dalla musica che è nata a Granada da artisti arabi fra 1200 e 1300. Lo spazio è aperto, tutti possono unirsi a noi per suonare. Nel 1989 anche Mick Jagger si è seduto qui». Gli arazzi arabescati alle pareti, i tappeti grezzi a terra e, fuori, la tranquillità della casba portano il visitatore indietro nel tempo. Eppure, scendendo per i vicoli della medina, oltre il porto e il lungomare, s’incontrano le tracce delle epoche più recenti, i palazzi coloniali, gli alberghi moderni, la nuova marina inaugurata dal re, fino ai grandi centri commerciali multipiano e alla selva di condomini tutti uguali.
Al Cinema Rif
«Una quantità di alloggi nuovi e già in rovina», commenta Yto Barrada, fotografa e artista tangerina. La incontriamo nella piazza più nota della città, dove sorge la Cineteca di Tangeri, da lei fondata dodici anni fa. «Ci troviamo dentro una geografia formidabile, alla fine del mondo o all’inizio di un altro mondo. Anche in città abbiamo una collocazione particolare, nella centralissima piazza del Grand Socco, frontiera tra medina e città “nuova”. Qui nel 1947 il sultano rivendicò l’indipendenza». A quel tempo il Marocco era dominato da francesi e spagnoli e Tangeri era zona internazionale.
La Cineteca è ospitata nel vecchio Cinema Rif, dalle forme art déco e dalle atmosfere d’altri tempi. Il progetto di Yto, però, l’ha resa un’isola di libertà tutta contemporanea, dove i giudizi della società tradizionale restano fuori dalla porta. Nella caffetteria del cinema, studenti, gruppi di ragazze e gay si incontrano, studiano, bevono birra.
Filmografia nazionale, ma anche una programmazione che si apre al mondo, Fassbinder, Hitchcock, Fellini e film più recenti: «Proponiamo un progetto che apra i confini, almeno sullo schermo. La chiusura delle frontiere è stata rilevante nella creazione dell’identità nazionale, ha provocato rabbia e asprezza». La costa spagnola, dall’altra parte del mare, pare a portata di mano: «Chi giunge da sud sente di essere pressoché arrivato: è una specie di messinscena che rende tutto più pericoloso – prosegue la fotografa –. Dieci anni fa lo Stretto era il più grande cimitero marocchino, oggi è uno dei più grandi d’Africa».
Città letteraria
C’è chi parte in canotto e chi, con la più moderna tecnologia, attracca a Tanger Med a bordo di portacontainer: a 35 chilometri dalla città sorge infatti questa zona franca dalle imponenti piattaforme industriali e di logistica con un faraonico complesso portuale del cui dinamismo, però, poco beneficia la popolazione locale.
«Un tempo i tangerini entravano in Spagna senza visto. Per raggiungere Casablanca, invece, si dovevano oltrepassare i due confini del Marocco spagnolo e del Marocco francese», ci racconta Simon-Pierre Hamelin della Librairie des Colonnes, in passato luogo di ritrovo per Samuel Beckett, Tennessee Williams e Mohamed Choukri, e oggi meta di pellegrinaggi letterari. «Chiuso il confine a nord, i tangerini sono stati costretti a girare le spalle al mare, a voltarsi verso l’interno e a scoprire una nazione per loro nuova. A volte mi arrabbio con l’Europa: il fatto di vederla sempre qui di fronte mi ricorda una certa politica e tutte le vittime causate dalle frontiere. Quando la Spagna scompare dalla vista, dietro le nuvole o la nebbia, si sta meglio».
Gli chiediamo quanto sopravviva della Tangeri leggendaria degli scrittori: «Il passato letterario è importante, ma questo è un posto dove anche oggi si fabbricano storie – prosegue Hamelin –. Qui ho lavorato con Mohammed Mrabet, collaboratore di Paul Bowles, lo scrittore americano del Tè nel deserto, che ne ha trascritto i racconti per poi pubblicarli. Mrabet ha incontrato Truman Capote, Tennessee Williams, William Burroughs, che venivano in visita a Bowles. Ma per lui erano solo stranieri», dice sorridendo.
Storie dolci e amare
Chiediamo un incontro a Mrabet: ci riceve nella sua casa in un tranquillo quartiere fuori dal centro. Pur avendo 82 anni, è così in forma che sembra scolpito nel legno, nodoso e solido. «È stata Jane Bowles a presentarmi al marito. Lui si è offerto di trascrivere e tradurre ciò che raccontavo. Bowles era bravo a tradurre, ma anche a rubare storie ai marocchini», dice amaro. Poi ci regala uno dei suoi racconti: «Quand’era piccola, ho salvato la vita a quella che oggi è mia moglie, ripescandola dal mare. Trascorsi alcuni anni, l’ho rivista sulla stessa spiaggia. L’ho seguita per vedere dove abitasse e mi sono presentato per chiederla in sposa. “L’hai salvata dalla morte, nessuno può dirti di no”, ha risposto la madre. Stiamo insieme da sessant’anni».
Per questa città, a cui ha sempre fatto ritorno dopo le sue avventure in giro per il mondo, Mrabet ha oggi parole dure: «Per me Tangeri è finita. Troppi appartamenti e auto. Ha cominciato a morire nel 1965, quando gli europei se ne sono andati. Non scendo più in città, per me non c’è nulla da vedere. Ma il mare, quello sì. Il mare è più ampio della terra». Così è Tangeri, malgrado tutto ancora magnetica e affascinante: c’è chi si ritira come fa la risacca e chi vi si affaccia per la prima volta. Ondate diverse, come diverse sono le acque del Mediterraneo e dell’oceano che qui si uniscono.
Si ritira lenta l’onda della Tangeri letteraria, resiste preziosa quella arabo-andalusa, mentre incalza veloce l’onda di affari e speculazione edilizia. Lontano da occhi indiscreti preme un’altra ondata, inarrestabile: quella di chi attende paziente il momento giusto per attraversare e arrivare di là.
(Francesca Ghirardelli)