Thomas Sankara, la rivoluzione parte dall’ambiente

di Enrico Casale
thomas sankara

«Abbiamo deciso di intraprendere tre lotte. In primo luogo la lotta contro gli incendi nella savana. Verrà d’ora in poi dichiarato criminale l’atto di provocare incendi e sarà punito come tale […] Solo se si procederà in questo modo allora il Burkina Faso sarà verde oggi, e ancora più verde domani per le future generazioni»: così parlava Thomas Sankara e guardava lontano. Come ogni vero leader, al benessere di chi, dopo di lui, avrebbe abitato la sua terra: un Burkina Faso dove non contrastare la desertificazione del terreno avrebbe significato cancellare il futuro di intere generazioni.

«La seconda lotta che noi ci impegniamo a proseguire – continua nel Discorso ai forestali del 22 aprile 1985 – sarà contro il vagare delle mandrie […] Colui che lascia il suo bestiame a pascolare in maniera libera, a mangiare tutto ciò che cresce a terra, commette un atto criminale di distruzione della natura e di condanna delle generazioni future». Responsabilità, bene comune: due punti fermi su cui costruire il domani di un intero Paese.

«E poi, da ultimo, la terza lotta sarà contro il taglio incontrollato delle foreste per farne legna da ardere […] Il taglio della legna dovrà essere regolamentato […] I grandi centri urbani dovranno procurarsi legna da ardere da venditori autorizzati, riforniti da rappresentanti autorizzati, e, a loro volta, riforniti da grossisti riconosciuti […] Saranno indicate le quote di legna annuali assegnate e le aree autorizzate per il taglio». Indicazioni concrete, regole certe e visione d’insieme. Parole la cui attualità resta intatta oggi, di fronte alla minaccia globale data dai cambiamenti climatici.

L’alba del rivoluzionario

Quell’uomo, capace di non distogliere mai lo sguardo da un orizzonte in cui vede la sua patria crescere in autonomia e benessere, dopo l’indipendenza da poco raggiunta, nel 1960, fa capire presto di che pasta è fatto. Thomas Sankara, nato il 21 dicembre 1949 e morto il 15 ottobre 1987, ha solo 11 anni quando la sua nazione si proclama indipendente: quel medesimo giorno, mentre si trova a scuola, brucia la bandiera francese e issa quella della sua nazione. Un atto profetico per lui che in seguito sarà l’artefice del cambiamento sia dei colori della bandiera, che del nome della sua terra.

Fin da giovanissimo, Thomas capisce che rientra tra i fortunati che hanno avuto il privilegio di studiare, mentre oltre l’80% dei giovani del suo Paese rimane analfabeta. Grazie alla carriera militare, completa la sua formazione, frequentando l’accademia prima in Madagascar e poi a Parigi. Mentre ha il naso sui libri, tiene gli occhi ben aperti su quello che accade fuori.

Nell’isola le contestazioni e i moti studenteschi, appoggiati dai contadini contro il regime filo-francese, lo portano ad una visione di stampo socialista. Quando arriva a Parigi, vedendo lo sconvolgimento apportato dai movimenti studenteschi occidentali, capisce che bisogna liberare le menti degli africani dalla sudditanza culturale e psicologica occidentale: perché l’Occidente, di fatto, continua tranquillamente ad imporre le proprie direttive economiche.

Il coltello affilato

È durante un corso di perfezionamento a Rabat, in Marocco, che conosce il suo migliore amico, Blaise Compaorè, con il quale in seguito combatte quella che Thomas definirà, «l’inutile guerra dei poveri» con il Mali, scoppiata nel 1974. Insieme deporranno il generale Jean-Baptiste Ouédraogo, iniziando di fatto, il 4 agosto, la rivoluzione che lo porterà alla presidenza della nazione.

Thomas riconoscerà in Blaise prima un vero amico, poi un fratello. Blaise non ricambierà mai questo sentimento sincero, anzi. Forse per l’incapacità di stare all’ombra di una montagna troppo alta da scalare, sarà proprio lui a tradirlo e a vendere la vita del grande rivoluzionario ai giochi delle potenze occidentali, cui lui ha venduto l’anima per poter prendere il potere dopo la morte di Thomas e cancellare tutti i progressi che la rivoluzione sankarista aveva prodotto in quattro anni. Un vecchio detto senegalese dice: «Il coltello che ti uccide lo affila il tuo migliore amico».

Il presidente in bicicletta

Il mondo sta da qualche anno riscoprendo la figura di questo grande leader africano. Thomas Isidore Noel Sankara suona il suo nome per intero. Un personaggio che ancora per molti rimane sconosciuto, soprattutto in Occidente, e che, non a torto, viene accostato ad Ernesto Guevara, tanto da esser definito il «Che Guevara africano».

Tom Sank, come veniva chiamato in maniera più confidenziale dal suo popolo, era soprannominato anche il «presidente in bicicletta», per la consuetudine di muoversi con tale mezzo. Abituato a non tenere nulla per sé ma a investire ogni mezzo per il benessere del suo popolo. La penna del giornalista Sennen Andriamirado, del gruppo Jeune Afrique, racconta così «il compagno presidente» nelle pagine di Sankara il ribelle: «Tutte le domeniche mattina Thomas fa colazione nella casa di famiglia […] è lui che porta il necessario: caffè, latte, zucchero e pane». O, almeno, lo porta quando si ricorda di fare la spesa. In quell’attimo, allora, «fruga nelle tasche e si accorge di non avere denaro. Risalendo in cucina scopre che la dispensa di sua moglie Mariam è vuota. Sollecitate, le sue guardie del corpo non possono prestargli nulla. Sono al verde quanto il loro presidente. Thomas fa chiamare uno dei suoi alti funzionari, che gli presta 1000 Frs (4 euro di oggi, ndr)». Un frammento di quotidiano che dà la misura di un uomo normale e di un presidente eccezionale.

I fatti parlano

Gli è mancato il tempo. È stato, anche se solo per quattro anni, una delle figure più carismatiche del secolo breve, alla stregua di Nelson Mandela, o appunto Ernesto Guevara, per la portata grandiosa e visionaria delle idee. Ha sfidato i potenti della terra mettendo in conto la sua fine. Ha dato tre pasti al giorno e cinque litri d’acqua a ogni abitante del suo Paese. Si è battuto per non pagare il debito alle potenze occidentali; è stato il primo a parlare di Aids in Africa e a prendere i dovuti provvedimenti; ha lanciato campagne di vaccinazione importantissime; ha ridotto il debito pubblico del Burkina Faso in maniera drastica: i ministri del suo governo andavano in giro in Renault 5, abolite le lussuose Mercedes.

Si è battuto a tutti i livelli: contro l’infibulazione, i maltrattamenti, la violenza sulle donne. Contro gli sprechi. Tra i suoi più fieri oppositori, gli impiegati pubblici, cui ha decurtato lo stipendio: una minoranza (erano il 10% della popolazione) che assorbiva il 70% di tutte le risorse pubbliche, a fronte di un 85% formato da contadini, che quasi nulla ricevevano. Alla voce di questi ultimi Sankara ha aperto la radio nazionale, inventando un programma del mattino col microfono aperto, senza censure.

Ha lottato contro la desertificazione, si è battuto affinché si consumassero prodotti solo del Burkina Faso (nuovo nome del Paese, che sostituisce il coloniale Alto Volta, dal 4 agosto del 1984, quando, in omaggio alle due lingue principali, recupera dal mooré la parola burkina, che significa integrità, e dal diula la parola faso, terra. I cittadini sono quindi i burkinabè, cioè donne e uomini integri.

32 anni dopo

Sankara è morto con 150 dollari in banca, quattro biciclette e la casa da povero in cui era nato. Lui che è entrato nella storia, ma uscito dalla vita per mano del suo miglior amico, merita oggi di essere ricordato per quello che ha fatto, ma, soprattutto, per quello che poteva essere nei cuori di migliaia di giovani africani.

Stefano Ripert

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