Ore decisive per l’Etiopia, è scaduto ieri sera (mercoledì 25 novembre) l’ultimatum rivolto dal governo federale alle forze regionali del Tigray per costringerle ad arrendersi. E ora la situazione potrebbe precipitare a momenti: il primo ministro etiope Abiy Ahmed ha infatti ordinato all’esercito di lanciare l’offensiva finale contro le autorità dissidenti di Macallè, la capitale del Tigray, regione settentrionale dell’Etiopia che da settimane si ribella al governo centrale.
Alle forze armate è stato detto di «condurre la fase finale» dell’operazione lanciata il 4 novembre contro i leader del Fronte popolare di liberazione del Tigray (Tplf), come si legge sull’account Facebook di Abiy Ahmed e come riportano diverse agenzie di stampa internazionale. Il premio Nobel per la Pace ha precisato che «si farà di tutto per garantire che la città di Macallè non subisca gravi danni e per proteggere i civili».
Abiy Ahmed, aveva lanciato, lunedì 23 novembre, un ultimatum della durata di 72 ore per spingere il Tplf a deporre le armi. Qualora non lo avesse fatto, le forze regionali avrebbero dovuto prepararsi ad affrontare un assalto alla loro capitale, Macallè, che ospita circa mezzo milione di persone.
Nella serata di ieri, mercoledì 25 novembre, l’ultimatum è scaduto e, ora, l’esercito è pronto ad attaccare.
Da quando sono incominciati gli scontri, il 4 novembre, circa 42.000 rifugiati sono fuggiti oltre il confine per raggiungere il Sudan, i razzi del Tplf sono arrivati fino alla vicina Eritrea e non pochi sono stati gli spargimenti di sangue, con episodi davvero agghiaccianti. Nella notte del 9 novembre, uomini armati hanno attaccato la città di Mai-Kadra, nella zona sud-occidentale della regione del Tigray. Un attacco che ha causato la morte di 600 persone massacratd a colpi d’ascia e di machete. Erano lavoratori giornalieri di etnia Amhara, che nulla avevano a che fare con il conflitto in corso nella regione.
Sulla strage deve ancora essere fatta chiarezza ma martedì, 24 novembre, la Commissione etiope per i diritti umani (Ehrc), un organismo affiliato al governo, ha pubblicato un rapporto nel quale si identifica un gruppo giovanile del Tigray come responsabile del massacro.
Nel frattempo Ahmed rifiuta qualsiasi tipo di mediazione e ha chiesto agli abitanti di Macallè di rimanere a casa.