Torelli (Ispi): «L’Africa è ancora in mano ad al Qaeda»

di Enrico Casale

stefano torelliFra Daesh, Boko Haram e al Shabaab quali legami ci sono? Quali forme di collaborazione in Africa?
Fra Daesh e Boko Haram (movimento integralista nigeriano) c’è certamente un legame – spiega Stefano Torelli, ricercatore Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale) di Milano -. Boko Haram è affiliata al Daesh e quindi, nel contesto africano, si pone come attore jihadista nell’ambito di questo network. A parte questa affiliazione formale, però, quali siano i reali contatti tra i responsabili del Daesh e quelli di Boko Haram è ancora tutto da capire e da approfondire. La somala al Shabaab invece non è entrata a far parte del Daesh e rimane fortemente legata al network di al Qaeda. Il fatto che in Somalia siano presenti foreign fighters, molti dei quali pachistani, è la dimostrazione di un legame fortissimo con l’organizzazione fondata da Osama bin Laden. Al Shabaab non si chiama al Qaeda per il Corno d’Africa, ma di fatto lo è.

Questi movimenti jihadisti sembrano vincenti, ma in realtà stanno perdendo terreno in Medio oriente…
Sì, secondo gli ultimi report, nelle aree più occidentali della Siria tutti i gruppi ribelli stanno arretrando, anche per effetto dell’intervento russo. E anche Daesh pare stia perdendo terreno. Molti hanno legato l’offensiva in Europa e in Africa proprio al fatto che in Medio oriente Daesh si sta ridimensionando. Non so quanto possa essere vero questo rapporto di causa ed effetto, ma è certo che Daesh si sta indebolendo.

Molti leggono il rafforzamento di Daesh in Libia come uno spostamento strategico dopo le sconfitte in Siria. Lo conferma?
Certamente esistono cellule legate a Daesh in Libia. In origine erano a Derna, poi si sono ritirate. Fino a qualche settimana fa erano anche a Sabratha, ma da lì sono state costrette a fuggire dai bombardamenti statunitensi. Adesso sono presenti soprattutto nell’area di Sirte. Da qui c’è stato un recente tentativo di espansione verso la Tunisia. Una parte consistente di miliziani sono infatti tunisini che, proprio dopo il bombardamento di Sabratha, hanno cercato di rientrare in Tunisia. All’inizio di marzo si è verificato un attacco militare in grande stile di queste milizie a Ben Guerdane, una cittadina tunisina al confine con la Libia. Una cinquantina di jihadisti sono entrati in forze nella città cercando di conquistarla. Le forze armate tunisine sono riuscite a respingere l’offensiva, ma la battaglia è durata giorni. L’idea è che dalla Libia stiano cercando di crearsi basi stabili in Tunisia. La Tunisia ha reagito molto bene, ma riuscirà a resistere anche in futuro? L’Africa è comunque la terra di al Qaeda. Oltre ad al Shabaab, infatti, è molto forte anche al Qaeda per il Maghreb islamico (Aqmi) che opera nell’Africa occidentale. In Algeria e in Marocco non ci sono cellule di Daesh. Alcuni analisti hanno letto i recenti attentati di Aqmi in Mali, Burkina Faso e Costa d’Avorio come un avvertimento a Daesh: non cercate di entrare in questa area perché la controlliamo noi.

Si parla sempre di più di un intervento militare occidentale in Libia per contenere l’avanzata di Daesh, che cosa ne pensa?
Non so quanto possa risolvere un intervento militare. Penso che se l’Europa e gli Stati Uniti vogliono intervenire, lo debbano fare avendo ben chiari gli obiettivi da raggiungere e dispongano i mezzi adeguati per raggiungerli. Altrimenti l’impresa rischia non solo di fallire, ma di creare altri ulteriori focolai di instabilità.

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