Sembra ormai alle spalle la crisi diplomatica tra Kigali e Parigi sulle orme del genocidio commesso nel 1994 nel ‘Paese delle Mille colline’. La visita simbolica di Emmanuel Macron in Rwanda, il 27 maggio, e il suo discorso pronunciato davanti al memoriale dedicato alle vittime è stato accolto con grande soddisfazione dal presidente Paul Kagame, l’uomo che comanda in Rwanda, prima come ministro della Difesa e dal 2000 come presidente, sin dal dopo genocidio. “È stato un discorso potente, con un significato speciale, relativo a ciò che accade oggi, e che avrà un’eco aldilà dei nostri confini” ha detto in conferenza stampa. E secondo Kagame, quello che ha detto Macron è valso più delle scuse, non pervenute. Le sue parole “hanno avuto un significato più importante di scuse, si è tratto della verità. Dire la verità è pericoloso, ma si fa, perché è giusto, anche quando costa, anche quando è impopolare”, ha proseguito il leader del Fronte patriottico ruandese (Fpr).
Basandosi sul recente rapporto Duclert, dal nome dello storico francese che ha lavorato con un gruppo di colleghi sugli archivi del genocidio, Macron – che all’epoca delle stragi aveva solo 17 anni – ha ammesso “responsabilità” della Francia, perché la Francia “non ha ascoltato le voci di coloro che l’avevano avvertita, o ha sopravvalutato la sua forza pensando di poter fermare il peggio. La Francia non ha capito che, volendo prevenire un conflitto regionale o una guerra civile, era in realtà al fianco di un regime genocida. Ignorando gli avvertimenti degli osservatori più lucidi, la Francia ha assunto una responsabilità schiacciante in una spirale che ha portato al peggio, anche se stava proprio cercando di evitarlo.“
Anche la parte ruandese ha commissionato, allo studio di avvocati statunitense Levy, Firestone & Muse, un rapporto sul coinvolgimento nel genocidio della Francia sotto il mandato di François Mitterand. Consegnato lo scorso 19 aprile, il cosiddetto Rapporto Muse conclude senza mezzi termini che “lo Stato francese ha una pesante responsabilità per aver reso un genocidio prevedibile”. Per molti anni, affermano i redattori, lo Stato francese ha sostenuto il regime del presidente ruandese “corrotto e assassino” Juvenal Habyarimana. I funzionari francesi hanno “armato, consigliato, addestrato, attrezzato e protetto il regime ruandese, a prescindere dalla volontà del regime del presidente Habyarimana di disumanizzare i tutsi in Rwanda e, garantire, a termine, la loro distruzione e la loro morte”, afferma il rapporto.
Se la formula ‘responsabilità senza scuse né colpevolezza’ sembra un buon compromesso per Kigali, non è affatto il parere dell’associazione francese Survie, secondo cui Macron ha “mancato l’appuntamento con la storia” scegliendo commenti “ambigui” che lasciano sotto il tappeto le “compromissioni più gravi dello Stato francese con il regime genocidario”. Survie, che lavora attivamente sulla questione del genocidio ruandese e denuncia da tempo le responsabilità francesi, sottolinea che da un lato, Macron ha detto di voler “continuare l’opera di giustizia” contro i ruandesi sospettati di genocidio, molti dei quali si trovano in Francia, e allo stesso tempo, la Procura di Parigi, ha chiesto l’archiviazione nel caso del massacro di Bisesero, rendendo così incerto un processo per esplorare le responsabilità dei decisori militari e politici dell’epoca su fatti che riguardano ebbene, secondo le parti civili, una complicità in genocidio. Volendo “assicurare ai giovani ruandesi che un altro incontro è possibile” e lodando “l’opportunità di un’alleanza rispettosa”, il presidente Macron “cerca di finalizzare il riavvicinamento che ha fatto con il regime di Kigali, a scapito della verità, della giustizia e del perdono”, scrive Survie.
Per l’oppositrice politica rwandese Victoire Ingabire, liberata nel 2018 dopo aver trascorso 8 anni in carcere, il riconoscimento della responsabilità francese nel discorso di Emmanuel Macron a Kigali è una buona cosa, ed è positivo lo slancio di cooperazione fra i due governi. Ma le attese delle vittime del genocidio sono state tradite. C’è delusione e confusione, poiché per 27 anni il regime di Kagame ha detto che la Francia aveva una parte di responsabilità. Ora diventano amici, e non sono nemmeno arrivate scuse. A Macron, viene rimproverato di aver chiuso un occhio sulle derive autoritarie di Kagame, che impediscono l’avvento di una vera democrazia in Rwanda, dove gli oppositori sono sistematicamente imprigionati, costretti all’esilio o eliminati. Ma Ingabire chiede soprattutto che si faccia luce su tutte le sfaccettature del genocidio. “Ci sono stati crimini contro gli hutu in Rwanda e in Congo. Di questo, non si parla”, ha detto in un’intervista al giornale francese La Croix.
L’altra faccia del genocidio dei tutsi per mano degli estremisti hutu è quella che vede, in rappresaglia, le forze ruandesi liberatrici tutsi del Fpr e del suo braccio armato, dare la caccia agli hutu fino nell’est della Repubblica Democratica del Congo, dove si erano rifugiati assieme alle colonne di civili in fuga. Argomentando la necessità di dover proteggere il Rwanda dalla minaccia degli ex genocidari, Kigali è stata protagonista di conflitti che hanno scosso il Congo dalla fine degli anni 90 agli anni 2000. Le sue milizie hanno occupato una parte del territorio congolese, con conseguenze che tuttora lasciano la regione nordorientale congolese in preda all’insicurezza e alla presenza di oltre un centinaio di gruppi armati. Hanno fatto rabbrividire molti congolesi e difensori dei diritti umani le parole di Kagame al recente vertice di Parigi sul finanziamento delle economie africane. Nell’est della Rdc, “non ci sono stati crimini”, ha detto, suscitando indignazione e l’appellativo di “negazionista”. L’attuale presidente congolese Felix Tshisekedi non ha reagito, suscitando altrettante aspre critiche da parte di chi, la guerra, l’ha vissuta e la vive ancora.
A mandare Kigali su tutte le furie, al punto da provocare la totale rottura delle relazioni fra i due Paesi tra il 2006 e il 2008, fu un altro lavoro di ricerca storica, l’indagine del giudice antiterrorismo francese Jean-Louis Bruguiere, sull’esplosione dell’aereo presidenziale che trasportava Habyarimana e il suo omologo burundese Cyprien Ntaryamira. L’evento fu la scintilla che innescò i massacri di massa contro la comunità tutsi e nei quali furono uccisi anche hutu moderati. Sollecitato dalla famiglia dei piloti dell’aereo, il giudice Bruguiere ha concluso che il Falcon era stato abbattuto dal Fpr e chiesto l’arresto di nove persone appartenenti alla cerchia di Kagame. Lo stesso presidente ruandese è stato puntato da Bruguiere, che ha raccomandato l’incriminazione del presidente dinanzi alla Corte penale internazionale. Kagame ha negato qualsiasi coinvolgimento, rimandando le accuse al mittente. “Alcuni francesi hanno le mani sporche di sangue”, aveva detto, all’epoca, sostenendo che le conclusioni dell’indagini erano manipolate con un chiaro intento politico.
Il tempo aiuta a guarire le ferite. I 27 anni che separano il massacro di circa 800 mila ruandesi, per la maggior parte tutsi, sono stati difficili e pieni di ostacoli nella ricerca della giustizia e della verità. Sono serviti a riaprire la porta di un sentiero per le nuove generazioni, affinché i rancori del passato non guastino le potenzialità del futuro. Kagame ha deciso che è tempo di riconciliarsi con Parigi, ma a che punto sta la vera riconciliazione fra i rwandesi? Come se la passano gli oppositori e le voci critiche del regime? E quanti anni serviranno ancora perché sia fatto un lavoro simile sulle responsabilità ruandesi nelle atrocità che accadono in Congo?
(Céline Camoin)