Tram 83, di Fiston Mwanza Mujila

di AFRICA
Tram 83, di Fiston Mwanza Mujila

 

Tram 83, di Fiston Mwanza MujilaLa copertina – dettaglio di un quadro del congolese Chéri Chérin – offre una buona introduzione all’atmosfera di questo romanzo. Per parte sua, l’autore ha dichiarato in interviste di aver avuto in mente l’opera di un altro pittore della Rd Congo, il murale di Chéri Samba che troneggia a Matonge, il più congolese e africano dei quartieri della capitale belga (e che perfino nel nome è memoria di un vivace quartiere di Kinshasa). A dire il vero, fin dalle primissime pagine veniamo catapultati in un universo ancor più affollato, caotico, amorale, “sbracato”, di quanto non lasci prevedere il preludio pittorico. Siamo nella Città-Paese, dietro cui si estende l’Entroterra, governata da un «Generale dissidente»; una sorta di Stato fondato sull’estrazione dei minerali preziosi, al cui vertice svetta il Generale, ma sui cui traffici si muovono «turisti a scopo di lucro» piombati da ogni angolo di mondo. Il libro però non è un thriller politico o qualcosa di simile, bensì il racconto di uno squarcio di vita della fauna umana che si concentra fra la stazione dei treni – «una struttura metallica monca, demolita dalle granate», che rimemora la ferrovia «costruita da Stanley» – e, soprattutto, un locale che richiama i saloon da western, ma più in grande, più rumoroso e più sordido: il Tram 83.

Il Tram 83 è dunque un palcoscenico di umanità varia, che l’autore si diverte anche a elencare per categorie – ma, in fondo, non così varia. Tutti appaiono gaiamente ma inesorabilmente ossessionati dalla birra, dal denaro, dal «bassoventre». E infatti sono ben più che un contorno le pattuglie di ragazze, giovanissime o più mature, che petulantemente propongono/impongono i propri servigi sessuali agli avventori.

Unico personaggio dissonante è Lucien, uno scrittore idealista appena arrivato dall’Entroterra e che ritrova un suo vecchio compagno di studi, detto Requiem, che invece degli ideali si è disfatto da un pezzo per trasformarsi in un’avanguardia del cinismo. Il romanzo ha un suo intreccio, naturalmente, ma più ancora di esso rimane nella mente del lettore l’atmosfera di questo pezzo di far west (non a caso Requiem ama citare il Nuovo Messico) in cui si è tramutato un angolo d’Africa contagiato dalla nuova febbre dell’oro. O della pietra. «In principio era la pietra e la pietra provocò il possesso e il possesso la corsa al minerale» è l’incipit del romanzo d’esordio di questo poeta e autore di teatro originario di Lubumbashi, da diversi anni residente in Austria.

La scrittura è in sintonia con il clima della narrazione, soprattutto nei dialoghi, spesso interrotti, ripresi, con nuovi interlocutori non presentati e, sempre, il «Sa l’ora?» di una ragazzotta che tenta un approccio. L’altro espediente è quello dell’accumulo, come quando vengono declinati tutti i soprannomi del “Negus” Requiem. Importante è anche il ruolo della musica, che, con tutte le voci e gli altri rumori, rende Tram 83 un romanzo particolarmente sonoro. E, sottotraccia ma non troppo, emergono frammenti di riflessione sul ruolo dello scrittore nella società (ma Fiston sostiene, nelle interviste che rilascia, di essere più «pragmatico» del suo Lucien).

Un libro con una sua forza, per non dire violenza, che può respingere come attrarre. Che può essere visto come una caricatura grottesca, o un fumetto senza disegni. Oppure (e le cose non necessariamente si elidono l’un l’altra) come uno sguardo allegramente senza speranza su una società dominata dalla corsa alla pietra, dove «tutte le strade portano al Tram 83».

Nottetempo, 2015, pp. 243, € 16,50

(Pier Maria Mazzola)

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