«Viviamo in mezzo alla savana, ai piedi del Kilimanjaro vicino a due parchi naturali, circondati dagli animali selvatici. Ogni tanto vengono a farci visita le giraffe, le zebre, gli elefanti. Alla sera dobbiamo ripararci dentro un recinto di rami spinosi di acacia per difenderci dalle iene». Parla italiano, ma anche Swahili e la lingua dei Masai: il popolo che l’ha adottata e con cui vive, al confine tra Kenya e Tanzania. Il suo nome all’anagrafe è Gaia Dominici; gli amici e i vicini di casa l’hanno ribattezzata Naramatisho, che vuol dire «persona che si occupa degli altri e su cui gli altri possono contare».
Ha 29 anni e origini colombiane, è cresciuta in Italia, ma da spirito libero qual è, ha viaggiato per mezzo mondo. Laureatasi in fotogiornalismo in Inghilterra, un giorno del 2014 è approdata con la sua reflex in un villaggio masai. Avrebbe dovuto solo scattare dei ritratti fotografici, ma ha fatto molto di più: ha messo a fuoco una nuova vita.
Si è innamorata di un guerriero di nome Ntoyiai, che è diventato suo marito e con cui ha avuto una bimba: Naresiai («persona piena di ricchezza»). Oggi abitano tutti e tre in una capanna fatta di foglie, legno, sterco di mucca e fango. Senza energia elettrica né acqua corrente. Per cucinare devono accendere un braciere di carbone sul fuoco, per rifornirsi d’acqua devono andare al pozzo a cinque chilometri di distanza. «Ci alziamo all’alba, seguendo il ritmo naturale del sole. È una vita faticosa ma anche divertente e appagante. Non la cambierei per nulla al mondo. E la nostra bimba, una piccola masai, è libera e felice».
Intervista a cura di Marco Trovato – immagini di Gaia Dominici
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