Almeno tre persone sono morte nei centri di detenzione che ospitano migliaia di migranti etiopi in Arabia Saudita. A denunciare i tragici decessi è Amnesty International che sostiene che i migranti stavano affrontando «crudeltà inimmaginabili» (incluso essere incatenati insieme a coppie e vivere senza servizi igienici).
La maggior parte di questi detenuti sono stati espulsi dal vicino Yemen dove erano emigrati e avevano trovato un lavoro (spesso occupazioni umilissime). Allo scoppio della guerra, i ribelli houthi li hanno però costretti a lasciare il Paese e così si sono rifugiati in Arabia Saudita. Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) delle Nazioni Unite, circa 2.000 etiopi rimangono però bloccati sul lato yemenita del confine, senza cibo, acqua o assistenza sanitaria.
Sono ormai migliaia gli etiopi che vivono in Arabia Saudita. Secondo l’Oim, nel 2017 c’erano almeno 500.000 migranti etiopi illegali nel Paese. Di fronte a questi numeri, Riad ha deciso di concentrarli in campi di detenzione. Almeno 10.000, in media, sono deportati ogni mese, ma all’inizio di quest’anno i funzionari etiopi hanno chiesto una moratoria a causa della pandemia di coronavirus.
Amnesty ha intervistato 12 migranti etiopi detenuti sulle condizioni nel centro di detenzione di al-Dayer, nella prigione centrale di Jizan e nelle prigioni di Gedda e La Mecca. Le condizioni sono particolarmente disastrose ad al-Dayer e Jizan, dove i detenuti riferiscono di condividere celle con 350 persone.
I migranti hanno riferito di aver visto i cadaveri di tre uomini – provenienti da Etiopia, Yemen e Somalia – ad al-Dayer. Amnesty ha detto che le accuse sono state confermate da video, foto e immagini satellitari.
Amnesty ha sollecitato il governo etiope a favorire il rimpatrio volontario dei suoi cittadini, chiedendo nel frattempo alle autorità saudite di migliorare le condizioni di detenzione. L’Etiopia prevede di rimpatriare 2.000 migranti detenuti entro la metà di ottobre.