Tunisia all’ennesimo bivio, anno incerto per la democrazia

di claudia

Sono tempi lunghi – non meno di un anno – quelli annunciati dal presidente tunisino Kais Saied prima di un ritorno a una ‘normalità’ politico-istituzionale sulla base di una Costituzione tutta da rivedere e che potrebbe, secondo alcuni osservatori, evolversi verso un sistema più accentrato sulla figura del presidente della Repubblica. Il 13 dicembre, in un discorso che era atteso piuttosto per il 17, nuova data per l’anniversario della Rivoluzione del 2011, Saied ha annunciato un cronoprogramma che proroga la sospensione del parlamento fino a elezioni anticipate il 17 dicembre 2022, precedute il 25 luglio da un referendum sulla Costituzione. Nel frattempo, dovrebbe svolgersi una consultazione popolare via piattaforma elettronica.

di Celine Camoin

“Adesso è chiaro che si va verso dodici mesi in cui tutto può succedere, ma in cui ci si aspetta che la democrazia tunisina sarà fortemente minata e messa duramente alla prova. La democrazia è stata messa in pausa, una pausa che prevede tempi lunghi, e che ci pone nell’ottica di un ritorno di fatto ad un nuovo autoritarismo”, ritiene Silvia Colombo, responsabile di ricerca del programma Mediterraneo, Medioriente e Africa presso l’Istituto Affari Internazionali (Iai), intervistata da InfoAfrica.

Le reazioni si stanno moltiplicando in Tunisia. Le prime arrivate sono state quelle dei partiti che dal 25 luglio scorso, data in cui Saied ha proclamato lo stato d’eccezione, congelato il parlamento e licenziato il primo ministro e la sua squadra, denunciano un “golpe” di velluto. La Corrente Democratica, il Partito Repubblicano ed Ettakatol hanno annunciato una manifestazione in viale Habib Bourguiba, nella capitale tunisina, questo venerdì 17 dicembre. Al momento, il partito islamista Ennahda non ha ancora reagito ufficialmente, ma fa parte della schieramento contrario alla strategia adottata da Saied.

Resta da vedere come si comporterà la società civile, che in questi mesi è rimasta in stallo, in attesa di capire cosa sarebbe successo, e non ha preso una posizione ben chiara. La giornata del 17 dicembre ci darà sicuramente un’idea delle posizioni che si stanno delineando in queste ore”, precisa Silvia Colombo.

Il presidente, facendo leva sull’articolo 80 della Costituzione, sulla lotta alla corruzione, sul malcontento che circondava l’operato del governo e la classe politica, ha ottenuto un forte consenso popolare, soprattutto nelle prime settimane. L’evento è stato ben accolto da quella fetta di tunisini più ostile alla maggioranza degli islamisti di Ennahda, e da chi si fida del presidente e della sua crociata contro la corruzione e l’impunità. Un consenso che ha iniziato a mostrare segni di fragilità a settembre, quando è stato prorogato lo stato d’eccezione, che di fatto accentra i poteri nelle mani del presidente.

Agli occhi di osservatori esperti, come la ricercatrice dello Iai, lo stallo nelle reazioni della società tunisina è apparso sorprendente, poiché nell’ultimo decennio di fatto la Tunisia ha vissuto una mobilitazione costante, in forme diverse, tra scioperi e manifestazioni nelle regioni dell’interno, dibattiti sulle questioni economiche, l’austerità, i diritti. “Le decisioni prese dal presidente hanno tagliato le gambe al movimento di mobilitazione popolare, frammentato dinanzi al sacro richiamo alla Costituzione”.

Ora però Saied ritiene che “la Tunisia abbia un problema di ordine istituzionale, derivante dalla Costituzione del 2014”. Un testo per il quale ci sono voluti ben tre anni di lavori prima di vederlo completato, e che ora, secondo le intenzioni di Saied, verrà modificato.

Secondo Colombo, in una condizione di mancanza di democrazia anche dal punto di vista formale – le ultime decisioni sono state prese senza consultazioni – e dopo tutto quello che è stato speso in termini di tempo, di energie e di sacrifici, la situazione attuale sarà difficilmente accettabile. “La crisi economica non è risolta,  e nonostante tutti i proclami contro la corruzione, non è stato fatto assolutamente nulla per affrontare le problematiche socioeconomiche”. E adesso che Kais Saied è ai comandi di questa situazione in prima persona “sicuramente si troverà a dover fronteggiare un’opposizione più forte, da parte della popolazione, ora che è molto chiara la vera natura di come intende gestire il potere”, ritiene l’esperta dello Iai.

Tra le voci che si sono schierate a favore della roadmap di Saied, il partito Alleanza per la Tunisia, secondo cui il discorso del presidente della Repubblica esprime le aspirazioni della maggioranza dei tunisini a “liberare il Paese dai corrotti e dagli infiltrati nelle istituzioni di governo e dello Stato”, e il partito Baath che approva tutte queste misure, compresa la volontà di riforma che esprimono.

Dall’estero, una delle prime reazioni è stata quella del portavoce del Dipartimento di Stato americano, Ned Price, favorevole all’annuncio del presidente Kais Saied di un calendario che definisce il processo di riforma politica e le elezioni parlamentari in Tunisia. “Gli Stati Uniti attendono con ansia un processo di riforma che sia trasparente e inclusivo delle diverse voci politiche e della società civile”, ha aggiunto Price, riaffermando il “sostegno del suo Paese alle aspirazioni dei tunisini per un governo efficace, democratico e trasparente che protegga i diritti e le libertà”. Price ha anche assicurato che “l’impegno nel partenariato tra gli Stati Uniti e la Tunisia prosegue”. Dall’Algeria, che ha inviato il proprio presidente della Repubblica in visita ufficiale, è arrivato un finanziamento da 300 milioni di dollari.

Kais Saied non appartiene ad alcuna formazione politica ed è stato, per l’elezione alla presidenza “un candidato indipendente molto sui generis che nella fase  della sua candidatura aveva giocato molto su una identità complessa – ricorda Colombo -. Parlava un linguaggio religioso però non era un islamista. Era modernista vista anche la sua provenienza esterna alla politica e ai collegamenti con i partiti, allo stesso tempo parlava un linguaggio che si rifaceva un po’ all’era Bourghiba, come impostazione. Dava quindi l’idea di un cambiamento che dovesse venire trainato da una figura carismatica come quella che lui pensava di essere”. Una personalità che non aveva un seguito forte ma allo stesso tempo capace di fare in modo che non si crei un’opposizione forte contro di lui.

Volente o nolente, conclude Silvia Colombo, “si va verso una pausa autoritaria dal punto di vista procedurale formale con il potere concentrato nelle mani di un’unica persona”. Le prossime settimane potrebbero essere decisive per capire quanto, e come, la società tunisina è pronta a mobilitarsi.

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