Sono almeno 50 le vittime del naufragio avvenuto tra mercoledì e giovedì al largo della Tunisia. Il barcone era partito lunedì da Sfax, in Tunisia, e stava provando a raggiungere Lampedusa quando si è rovesciato vicino alle isole Kerkennah. A bordo pare ci fossero 53 persone, e le operazioni per recuperare i corpi sono ancora in corso: sembra che non ci siano sopravvissuti.
Circa la metà delle persone morte erano donne, perlopiù provenienti dall’Africa subsahariana. C’erano almeno tre bambini. Secondo la Repubblica, tra i cadaveri è stato trovato anche quello del presunto conducente del barcone, un 48enne tunisino.
Secondo l’Unhcr, l’agenzia dell’Onu che si occupa di rifugiati, le partenze dalla Tunisia verso l’Italia sono aumentate del 150% nei primi mesi di quest’anno rispetto allo stesso periodo del 2019. Vincent Cochetel, rappresentante dell’Unhacr per il Mediterraneo Centrale, ha spiegato che circa la metà delle persone partite ha perso il lavoro per via della crisi causata dal coronavirus.
All’inizio di aprile, il governo italiano aveva stabilito che i propri porti non potevano più essere considerati “sicuri” per le persone soccorse in mare da navi di nazionalità diversa da quella italiana fuori dalla zona Sar italiana (Search and Rescue), di fatto impedendo l’accesso alle navi delle ong che operano nel Mediterraneo. Come ha spiegato Lorenzo Tondo su The Guardian, per questa ragione diverse navi sono rimaste alla deriva nel Mediterraneo, e un numero imprecisato di migranti è morto annegato o di stenti.