Tunisia post 25 luglio, incognite di una strada scivolosa

di Celine Camoin
il presidente Kais Saied

A quasi due mesi dalla proclamazione dello stato d’eccezione in Tunisia da parte del presidente della Repubblica Kais Saied, permangono molte incognite e sorgono alcuni segnali di preoccupazione. Se l’espressione “colpo di Stato presidenziale”, usata dai detrattori del capo dello Stato, appare forse esagerata, non è ancora ben chiaro se questa svolta ‘autoritaria’ del presidente non rischi di mettere a repentaglio nella sostanza, e di svuotare di significato, quelle che sono state le conquiste fatte dalla Tunisia negli ultimi anni in termini di avanzamento democratico. Questa, in sintesi, la lettura degli ultimi sviluppi politico-istituzionali fatta ad Africa, da Silvia Colombo, responsabile di ricerca del programma Mediterraneo, Medioriente e Africa presso lo l’Istituto Affari Internazionali (Iai).

“Non è facile in questa fase estremamente fluida capire esattamente quale tipo di seguito abbia il presidente rispetto alla mossa del 25 luglio. Tuttavia è importante distinguere l’apprezzamento di una figura istituzionale come quella del presidente Saied, votato in elezioni abbastanza sui generis per quanto riguarda il panorama politico e il percorso anche politico tunisino dell’ultimo decennio, e le azioni intraprese, che hanno nuovamente fatto emergere una polarizzazione già nota al panorama politico tunisino”, sottolinea la ricercatrice.

Il 25 luglio scorso, dopo mesi di braccio di ferro con il primo ministro Hichem Mechichi, di frammentazione dei partiti politici e di accuse di corruzione in seno alla classe politica, ricorrendo all’articolo 80 della Costituzione Saied ha decretato il congelamento dell’Assemblea nazionale popolare, la revoca dell’immunità dei parlamentari, la revoca del capo del governo e della presidenza della procura. L’evento è stato ben accolto da quella fetta di tunisini più ostile alla maggioranza degli islamisti di Ennahda, e da chi si fida del presidente partito in crociata contro la corruzione e l’impunità. Per altri invece, la mossa del presidente può essere paragonata a un golpe di velluto e alla morte della giovane democrazia.

Ci si poteva aspettare una decisione così drastica da parte del capo dello Stato? “Non è stato particolarmente sorprendente se consideriamo il livello di gradimento del governo, non solo da parte del presidente, ma da parte di molti strati della società tunisina. Dalla cattiva gestione della pandemia alla corruzione, erano presenti problematiche estremamente sentite, con il desiderio di una scossa, di un cambiamento drastico. Il problema – sottolinea l’esperta dello Iai – è che queste misure, chiaramente, aprono di fatto la porta a un percorso potenzialmente pericoloso, scivoloso, anche verso forme di autoritarismo populista che si intravedono non soltanto nella figura di un presidente ma anche nella sostanza delle sue decisioni”. Inizialmente previste per un mese, le misure eccezionali sono tuttora in vigore, non è stato ancora nominato un primo ministro e si parla addirittura di possibili modifiche alla Costituzione. “Il rischio – sottolinea Colombo – è di mettere in discussione i progressi raggiunti dal punto di vista politico, dalle libertà fondamentali al bilanciamento dei poteri previsto dal quadro istituzionale elaborato nell’ultimo decennio”, a seguito della caduta del regime di Zine el Abidine Ben Ali.

È però tutta da capire la modalità dell’eventuale ritocco costituzionale ora che il parlamento è in stand-by. La Costituzione attuale prevede che la ratifica della Costituzione venga convalidata dai deputati. “Il riferimento alla Costituzione da parte del presidente Saied appare legato a una volontà di mantenersi in una cornice di rispetto di alcune regole, per evitare di lasciare intravvedere uno scenario di espropriazione dei poteri o di ritorno di una dittatura sul modello egiziano in cui, appunto, la Costituzione diventa lettera morta, e per evitare di scostarsi troppo dai traguardi raggiunti nell’ultimo decennio”. Traguardi che hanno portato a una carta fondamentale all’avanguardia e che hanno sancito un certo equilibrio tra i poteri. Appare però che il cavallo di battaglia che sta cavalcando il presidente Saied, quello della lotta alla corruzione, all’immagine di politici incapaci di dare un contributo positivo allo sviluppo della società, può portare a pensare a una strumentalizzazione verso un maggiore accentramento del potere nelle mani presidenziali.

“La narrativa della lotta alla corruzione – ricorda la nostra interlocutrice – fu adoperata anche dagli islamisti 2011 dopo la fine dell’era Ben Ali, e portò alla loro presa di potere. La sta usando ora il presidente, consapevole che è un tema importantissimo, causa della continua mobilitazione popolare e del malcontento a livello socioeconomico. Sappiamo però che la corruzione è un sistema talmente pervasivo che il procedere soltanto a colpi di arresti o di processi sommari rischia di fare ancora più danni”.

La comunità internazionale, presa nelle ultime settimane dalle vicende afghane, sta tornando a osservare lo scenario tunisino, anche alla luce della grave crisi economica che affligge il Paese e degli impegni presi con donatori e cooperazione internazionale. I tunisini, anche in questo caso, stanno reagendo con grande dinamismo dimostrando che non hanno paura di mettersi in gioco. Le prossime settimane saranno determinanti.

(Céline Camoin)

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