La Tunisia è alle prese da giorni con violenti manifestazioni di piazza antigovernative che hanno portato a scontri, arresti, vittime. All’origine delle mobilitazioni c’è la grave crisi sociale ed economica del Paese, con alto tasso di disoccupazione giovanile che alimenta il malcontento e la rabbia.
Sotto accusa: il presidente Kaïs Saïed e il governo incapace di rispondere ai problemi della popolazione, malgrado il recente rimpasto voluto dal premier Hichem Mechichi. Ad acuire la situazione, il lockdown imposto per arginare i contagi da Covid-19 che ha ulteriormente isolato il Paese. L’anno scorso, anche a causa della pandemia globale, l’economia tunisina è scesa di oltre l’8%, con il deficit che ha superato il 12% del prodotto interno lordo, spingendo il debito pubblico a più del 90% del PIL.
Triste parabola per la nazione che esattamente dieci anni fa aveva innescato le rivoluzioni della Primavera araba. Dal 15 gennaio si si sono registrati scontri con la polizia nelle principali città della costa e dell’entroterra. Tra i manifestanti si contano già 1.200 arresti arbitrari. I violenti scontri tra manifestanti e agenti antisommossa hanno causato almeno un morto. Le organizzazioni della società civile hanno denunciato la brutalità delle forze di sicurezza e le modalità dei fermi, avvenuti principalmente di giorno e senza garanzie legali, che hanno interessato soprattutto i minori. L’analista Alberto Maresca, esperto di Maghreb, che ha vissuto a lungo in Tunisia, spiega le origini e i motivi della crisi.
Immagini: France25 e Africanews