Politica in fibrillazione in Tunisia. A seguito di una mozione di sfiducia (105 i firmatari, e tra questi anche esponenti di Ennahda, partito parte della coalizione di governo e che costituisce la forza politica più rappresentata in Parlamento), il premier Elyes Fakhfakh ha infatti scelto di rassegnare le dimissioni, formalizzando di fatto una crisi da tempo nell’aria.
Il ribaltone è l’approdo inevitabile del concatenarsi di più fattori. Da un lato l’ormai ex primo ministro è da tempo nell’occhio del ciclone: accusato di conflitto di interesse per aver detenuto azioni di una società in affari con la pubblica amministrazione, è ora al centro delle indagini di una commissione che il Parlamento di Tunisi ha creato ad hoc per indagare sui fatti. Dall’altro, a far da detonatore, l’esigenza di Ennahda, che pure aveva già manifestato insofferenza per essere a suo dire poco coinvolta dal governo pur potendo contare su sei ministri, di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dalle difficoltà del proprio leader Rachid Ghannouchi, additato per la gestione dispotica del suo partito, affiliato alla Fratellanza Musulmana. Infine, altro elemento destabilizzante, la crisi dell’economia tunisina, travolta dall’emergenza sanitaria legata al coronavirus: il settore del turismo, voce importante del Pil del Paese (prima della pandemia si attestava oltre il 14%), è in enorme difficoltà e la disoccupazione ha superato i livelli di guardia (secondo alcune stime si aggira intorno al 30%). Il malcontento è enorme e le piazze son tornate a riempirsi.
Troppo forti insomma i fattori deflagranti per tenere in piedi il già fragilissimo governo di coalizione nato appena cinque mesi fa. «Mi dimetto per evitare maggiori difficoltà al Paese», ha detto Fakhfakh. Ora la palla passa al presidente della Repubblica Kais Saied, che dovrà incaricare un nuovo premier.