La Turchia sta cercando un ruolo politico ed economico in Africa. Il tour in corso del presidente Recep Tayyp Erdogan è solo l’ultimo tassello di una strategia ad ampio raggio volta a riaffermare Ankara come punto di riferimento per l’Islam politico africano e a cercare nuovi mercati.
È noto l’impegno di Erdogan nella crisi libica. Da settimane è uscito allo scoperto offrendo un aperto sostegno al presidente del Governo di accordo nazionale libico guidato dal premier Fayez al-Sarraj. Un sostegno che si è concretizzato con l’invio di truppe speciali di Ankara in Nord Africa. Queste sosterranno le milizie tripoline nell’assedio della capitale portato dalle truppe del generale Khalifa Haftar, uomo forte della Cirenaica. La politica è però un velo che copre interessi economici consistenti. Non è un mistero che Erdogan voglia sfruttare in esclusiva i giacimenti di idrocarburi del Mediterraneo orientale. In questo senso l’alleanza con al-Sarraj è strategica e, infatti, è stato siglato un accordo che crea un corridoio matittimo nel quale Ankara possa estrarre petrolio e gas. All’intesa si è subito opposta una coalizione di Stati che vantano diritti sull’area: Egitto, Grecia, Israele. Anche l’Italia si sta muovendo per aggirare questo accordo internazionale perché violerebbe le concessioni ottenute dall’Eni sull’area.
Proprio per aumentare il consenso alla sua politica, Recep Tayyip Erdogan ha organizzato in questi giorni un tour per l’Africa. Ad Algeri ha incontrato il neopresidente Abdelmadjid Tebboune. A lui ha chiesto il sostegno al suo intervento in Libia. Gli algerini, però, vincolati anche da una Costituzione che impedisce interventi militari all’estero, si sono mantenuti equidistanti, non sposando in toto le tesi turche.
Dall’Algeria è volato in Gambia e in Senegal. A Banjoul, il presidente Adama Barrow ha confermato la stretta cooperazione tra i due Paesi. «I vari atti che firmati, specialmente durante la mia ultima visita ad Ankara – ha dichiarato Barrow -, dimostrano l’alto livello di corporazione tra le nostre due nazioni. Il mio governo ha il vostro sostegno per sviluppare la capacità delle nostre forze di sicurezza addestrando 500 ufficiali per il mantenimento della pace».
Anche in Senegal, Erdogan ha in serbo di firmare una serie di accordi a margine di un forum economico di rappresentanti del settore privato. Questo è il quarto viaggio del presidente turco in Senegal dal 2013. Erdogan è quindi come a casa. Nel suo viaggio è accompagnato da «una forte delegazione di operatori economici», investitori turchi già presenti in progetti su larga scala: l’aeroporto internazionale Blaise Diagne, il complesso sportivo della Dakar Arena, complessi abitativi, l’industria siderurgica. L’obiettivo è aumentare il volume degli scambi a 400 milioni di dollari. Una collaborazione ben accetta dalla leadership senegalese. Alcuni politici senegalesi hanno sottolineato «le affinità culturali, sociali e religiose tra i due Paesi».
Oltre all’Africa occidentale riguarda anche l’Africa orientale. Qui l’alleato più fedele è la Somalia. Nell’ex colonia italiana, i turchi hanno, ormai da anni, intessuto relazioni strettissime con il governo legittimo di Mogadiscio e si sono accaparrati fette importanti di commesse (strade, porti, aeroporti, ecc.). Un’alleanza che nasconde, anche in questo caso, forti interessi nel settore petrolifero. È notizia recente la stipula di accordi per lo sfruttamento di giacimenti offshore.
Erdogan quindi nuovo Gran Pascià che guida una politica neottomana in Africa? Difficile dirlo, certamente è un nuovo attore che gode dell’approvazione delle leadership africane.
(Enrico Casale)